(Adnkronos) – “Può sembrare presuntuoso, ma mi rendo conto che nelle situazioni difficili raccolgo la sfida”. Torna a confermarsi vero il motto che Pedro Sanchez ha pubblicato nel suo ‘Manual de Resistencia’, nel giorno in cui il leader del Psoe, ha ottenuto la fiducia in Parlamento ottenendo 179 voti favorevoli e 171 contrari. Un risultato che non era riuscito al leader popolare Alberto Nunez Feijoo, che era uscito dalle urne del 23 luglio vincitore ma senza maggioranza. La fiducia a Sanchez è stata ottenuta grazie agli accordi raggiunti con i partiti indipendentisti catalani Junts e Erc (Esquerra Republicana de Catalunya), con i baschi del Pnv. A favore del Governo progressista Psoe-Sumar ha votato anche il rappresentante unico della Coalizione delle Canarie, che il mese scorso aveva votato a favore del leader del Partito Popolare, Alberto Nunez Feijoo, nel suo tentativo, poi fallito , di formare un governo.
L’intesa più complessa è stata quella siglata dal leader del Psoe con il partito Junts, guidato dall’ex presidente catalano Carles Puigdemont, scatenando le proteste in piazza del Pp e di Vox. L’accordo con il leader separatista, che vive in esilio autoimposto in Belgio dopo il fallito referendum sull’indipendenza catalana del 2017, prevede un disegno di legge per concedere un’amnistia per le persone coinvolte nel movimento indipendentista catalano negli ultimi 10 anni.
Come scriveva nel suo libro del 2019 – un anno dopo essere riuscito, con la prima mozione di sfiducia della storia della Spagna moderna, a spodestare il popolare Mariano Rajoy e diventare così premier – il 51enne leader socialista ha dimostrato più volte di saper giocare d’azzardo e vincere scommesse che apparivano impossibili. Anche quando, dopo la batosta elettorale alle amministrative dello scorso maggio, ha convocato per il 23 luglio – nel pieno di un’estate rovente e appena iniziata la presidenza spagnola della Ue – le elezioni anticipate, scommettendo contro i pronostici che lo davano per sconfitto.
Nella sua carriera ‘Pedro El guapo’, Pedro il bello come viene chiamato in Spagna, ha dimostrato di saper scommettere contro tutto anche all’interno del Partito socialista che nel 2016 l’aveva defenestrato da leader perché si era rifiutato di appoggiare il ritorno in carica di Rajoy dopo le due elezioni che si erano concluse senza una maggioranza. Ma pochi mesi dopo, anche in quel caso contro tutti i pronostici, Sanchez vinceva le primarie del partito socialista e avviava il percorso che, in poco più di un anno, attraverso il sostegno di Podemos, l’avrebbe portato nel giugno del 2018 alla Moncloa, con una mossa che El Pais allora descriveva da “sopravvissuto inaspettato”.
Vincitore delle elezioni del 2019, Sanchez in questi anni ha portato avanti un programma tutto orientato a sinistra – anche grazie alla spinta dell’alleato Podemos ora entrato nella coalizione di Sumar – con riforme delle leggi sul lavoro, l’aumento del salario minimo e i sussidi alle famiglie a basso reddito. Importanti anche le leggi per la tutela delle donne, in particolare la legge ‘solo sì es si’ (solo si’ significa sì) contro la violenza sessuale e i femminicidi, e la legge per la libera autodeterminazione di genere, la cosiddetta ‘Ley Trans’.
E anche oggi, dopo aver ricevuto il nuovo incarico, ha promesso che uno dei pilastri del “governo di coalizione progressista” che intende formare sarà “il progresso sociale”.
Dal punto di vista economico, Sanchez si era presentato alle urne con un’economia che cresce più della maggioranza degli altri partner, un’inflazione scesa al 2%, anche se, per contro, la disoccupazione rimane la più alta d’Europa, al 12,7%. E rivendicando un peso maggiore della Spagna “a livello internazionale ed europeo”, aiutato dal fatto che Sanchez poi gode di un prestigio internazionale superiore a quello di molti suoi predecessori, complice anche il fatto di essere il primo premier spagnolo ‘fluent’ in inglese.
E se nella campagna elettorale popolari e Vox l’hanno accusato in tutti i modi di aver tradito i valori spagnoli, politica per cui hanno coniato il termine dispregiativo di ‘sanchismo’, per l’apertura agli indipendentisti catalani e nazionalisti baschi, Sanchez ha rivendicato questa politica di riconciliazione tra “i popoli della Spagna”. L’aministia, ha sottolineato ieri Sanchez, “non sarà un attacco alla Costituzione del ’78, ma tutto il contrario, sarà una dimostrazione della sua forza e del suo valore. Questa amnistia andrà a beneficio di molte persone, di leader politici le cui idee non condivido e le cui azioni rifiuto – ha detto con un riferimento ai leader indipendentisti catalani – però allo stesso tempo andrà ad aiutare centinaia di cittadini che furono arrestati, compresi agenti nazionali e dei Mossos che subirono le conseguenze di una crisi politica di cui nessuno può sentirsi orgoglioso”.
Nato a Madrid nel 1972, Sanchez entra nel partito socialista nel 1993, dopo la laurea e il dottorato ha lavorato al Parlamento Europeo e nel 1999 è stato capo dello staff dell’Alto rappresentante per la Bosnia ed Herzegovina durante la guerra in Kosovo. Eletto deputato nel 2009, nel 2011, perso il seggio, è tornato nel mondo accademico. Poi nel 2013 la nuova elezione in Parlamento e l’anno successivo la prima elezione a leader del Psoe. Dal 2006 è sposato con Begona Gomez e la coppia ha due figlie, Ainhoa e Carlota.