(Adnkronos) – Difesa e sostituto procuratore di Milano sono dalla stessa parte e chiedono alla corte d’appello di Brescia, competente sul caso, di riaprire il processo che ha portato all’ergastolo, in via definitiva, di Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba. Può capitare, in una richiesta di revisione, che le parti – che di norma sono agli antipodi in aula – si trovino dallo stesso lato della barricata, ma difficilmente è accaduto per un caso così mediatico e a quasi 17 anni dai fatti su cui i giudici – dal primo grado alla Cassazione – hanno confermato il massimo della pena.
“Resta anche da capire cosa accadde nelle circa 48 ore tra gli interrogatori dell’8 gennaio e quelli del 10 gennaio 2007. Certo è che i due (i coniugi Romano, ndr) sono soggetti a qualche ‘manipolazione’ da parte dei carabinieri che la mattina del 10 gennaio sono entrati in carcere, apparentemente per prendere le impronte ai fermati, cosa che, per esperienza, viene fatto all’atto dell’esecuzione di un fermo o di un arresto e prima della conduzione in carcere. Attività che comunque non necessita di tre ore”, sostiene, nella sua richiesta di revisione del processo, il sostituto procuratore della corte d’appello di Milano Cuno Tarfusser.
L’8 gennaio del 2007 Olindo Romano e Rosa Bazzi vengono fermati per il quadruplice omicidio dell’11 dicembre 2006, ma si dichiarano innocenti. Poi tutto cambia. “Certo è anche – si legge nell’istanza di 58 pagine, che dovrà essere vistata dai vertici della procura generale di Milano – che in quelle 48 ore viene dato modo alla Bazzi e al Romano di incontrarsi e di parlarsi. Inconsueto è il minimo che si possa dire anche se l’avere dato questa possibilità di incontrarsi aveva una finalità investigativa posto che il luogo dell’incontro è intercettato che però non ha dato il risultato auspicato. Certo è quindi ed infine, che non si può convenire con la corte di primo grado nell’affermazione che si tratti di ‘due confessioni assolutamente spontanee, in nessun modo coartate'”.
La mossa, a sorpresa, del pg Cuno Tarfusser nasce su impulso dei legali dei coniugi Romano e si fonda sullo studio di tre consulenze realizzate proprio dalla difesa. Nelle 58 pagine di richiesta il sostituto procuratore prova a “sgretolare” i tre pilastri che hanno portato al possibile “errore giudiziario”. Passa in rassegna le versioni di Mario Frigerio che vanno dal non ricordare, a offrire l’identikit di uno sconosciuto con la pelle olivastra per poi puntare il dito sul noto vicino di casa. Una memoria falsata, così come “false”, indotte, sono le confessioni di Olindo e Rosa.
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Viene messe in discussione, la “genuinità” della macchia di sangue di Valeria Cherubini trovata sul battitacco dell’auto di Olindo: non convince il modo in cui è stata repertata, così come il risultato scientifico. Non solo: punta il dito su un’indagine lacunosa che non ha valutato piste alternative. Valutazioni che ora dovranno essere vistate dalla procuratrice generale Francesca Nanni e dall’avvocato generale Lucilla Tontodonati e trasmesse – non prima di qualche settimana, salvo sorprese – a Brescia.
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La difesa, intanto, è pronta a depositare “tra pochi giorni” le sue carte. Oltre alle consulenze in cui si mettono in discussione le tre prove su cui si fondano le sentenze (elencate nella richiesta del pg Cuno), nella richiesta di revisione sono allegate anche nuove testimonianze tra cui quella di un giovane tunisino – finito in un’inchiesta della Guardia di finanza e legato in affari con il fratello di Azouz Marzouk (compagno e padre di due delle vittime) – che offre una pista alternativa: un regolamento di conti tra bande rivali, legato al mercato dello spaccio, che sarebbe sfociato nell’agguato nell’appartamento di via Diaz in cui, secondo il suo racconto, venivano nascosti droga e soldi. Le richieste di revisioni dovranno essere valutate a Brescia: alla corte d’appello spetta un primo vaglio sull’ammissibilità, solo se superato verrebbe fissata l’udienza per discutere dell’eventuale riapertura del caso.