(Adnkronos) – (Adnkronos/Cinematografo.it) – “Questa storia si inserisce in un’esplorazione più ampia, iniziata con il mio film precedente, relativamente alle complessità dell’abbandono, dinamiche psicologiche ed emotive derivanti dal non essere accettati”. Andrea Pallaoro presenta Monica e torna in Concorso a Venezia cinque anni dopo Hannah: questa volta tocca a Monica (“secondo capitolo di una trilogia il cui capitolo conclusivo ancora lo devo immaginare”), interpretata da Trace Lysette, un presente di relazioni complicate (molteplici le telefonate a un fantomatico Jimmy, che non risponde mai), un passato con cui fare pace quando una chiamata inaspettata la riporta al cospetto dell’anziana madre, Eugenia (Patricia Clarkson), ormai prossima alla fine a causa di un brutto male.
Per la parte della protagonista il regista, nato a Trento ma ormai da 23 anni residente negli States, tra Los Angeles e New York, ha scelto Trace Lysette dopo aver visto trenta candidate: “Con lei è bastato il primo incontro, per la sua capacità di essere piuttosto che recitare e per il fatto di aver capito subito lo spazio psicologico del personaggio. Monica per me è un’eroina moderna, una donna capace di perdonare”.
L’attrice, già tra i protagonisti della serie Transparent, ha da poco completato la transizione e racconta che a 25 anni “mi sono trovata a vivere il peggior momento della mia vita, un mio amico che ora non c’è più mi ha dato coraggio, dicendomi di investire in me stessa e di iniziare i corsi di recitazione, poi è arrivata la possibilità di Law & Order, dove recitavo nella parte di una donna, e più avanti Transparent“.
Il film – che in Italia arriverà con I Wonder Pictures – tratteggia l’ipotesi di riconquista di un rapporto – quello madre-figlia – che un tempo si era bruscamente interrotto, quando Monica era ancora un ragazzo e – arriviamo a comprendere – la famiglia rifiutò l’idea della sua transizione.
“Quando ho letto lo script ho colto subito la verità intorno a questo personaggio transgender, la complessità delle relazioni con la sua famiglia, con Andrea poi ci è stata una sorta di collaborazione anche prima di iniziare a girare”, dice ancora Trace Lysette, che non nasconde di aver attinto anche alle proprie esperienze personali per affrontare il lavoro, considerando che “il compito di ogni attore dovrebbe essere sempre quello di cercare la verità”.
“Rispetto ad Hannah credo che questo sia un film più affettuoso, più caldo, quello di Monica è un personaggio che offre una sorta di paradigma di coraggio e generosità, che riesce a perdonare e a rialzarsi, Hannah invece non ce la faceva”, dice ancora il regista, che sull’aspetto estetico del film (con l’aspect ratio di 1.2:1, un 4:3 anomalo) spiega: “Volevamo trovare un modo di esaltare il soggetto rispetto al paesaggio, fare in modo soprattutto che due o più corpi nella stessa inquadratura venissero percepiti in un rapporto di co-dipendenza e di soffocamento, claustrofobia, cosa che per noi era fondamentale e ci ha aiutato ad usare il fuoricampo per evidenziare ancora di più il rapporto tra interno ed esterno, tra psicologico e fisico”.
La cosa fondamentale, però, tiene a precisare il regista, è che “ogni scelta narrativa, concettuale, formale, in tutte le fasi della produzione ha al suo centro il rapporto con lo spettatore, verso il quale nutro sempre un’enorme fiducia: questo perché quando realizzo un film mi immagino sempre dall’altra parte dello schermo e il rapporto che cerco è quello che porta a una catarsi individuale, personale, dove si suggeriscono domande piuttosto che risposte”.