(Adnkronos) –
“E’ stata dura, l’emorragia può tornare e questo mi fa un po’ paura”. Stefano Tacconi oggi a Verissimo racconta il suo percorso dopo l’emorragia cerebrale per l’aneurisma che lo ha colpito ad aprile 2022. Il ricovero, l’operazione, la lunga riabilitazione.
“Non ricordo niente dei primi momenti. La riabilitazione è stata molto dura, pur essendo stato un atleta”, dice l’ex portiere della Juventus nell’intervista a Silvia Toffanin. “Erano 25 anni che non entravo in palestra. Ho dovuto imparare di nuovo a parlare, a camminare. La mia famiglia mi è stata molto vicina. Ora mi dicono tutti che devono stare attento, l’emorragia può tornare e questo mi fa un po’ paura. Ma la mia famiglia, che mi è stata molto vicina, mi segue costantemente… Ora non mi lasciano far niente, mi tengono fermo. Niente vino, niente fumo… Torno in ospedale due volte a settimana, se vado in palestra miglioro e cammino meglio. Bastano 2-3 giorni di stop per perdere tono muscolare”, dice.
“Me la sono vista brutta. Pensavo di essere immortale e invece dietro l’angolo c’era qualcosa di inaspettato. Fortunatamente il giorno che mi è successo c’era con me mio figlio Andrea. Non mi sentivo bene da un paio di giorni, pensavo dipendesse dal fatto di aver guidato da solo per oltre 3000 km. Mi sentivo stanco, sentivo che qualcosa non andava ma non pensavo a qualcosa del genere…”.
Sullo schermo scorrono le immagini della carriera, Tacconi si commuove: “Ho sentito fortissimo l’affetto dei tifosi. Ho ripreso in mano il telefono, c’erano così tanti messaggi… Ho faticato a rispondere, ho scoperto di essere ancora amato: quando uno semina, raccoglie”. Il prossimo obiettivo? “Vorrei portare la mia famiglia in vacanza appena possibile, ce la meritiamo. Senza la suocera, però..”.
“Quella mattina -ricorda il figlio Andrea- si era svegliato con un mal di testa. Non si sentiva bene, era pallido. Dovevamo andare a Asti per una fiera sulle figurine. Quando siamo scesi dall’auto, è crollato tra le convulsioni. Non respirava, l’ho girato su un fianco e lui ha ricominciato a respirare”. “In ambulanza -dice- mi hanno chiesto di avvertire i nostri familiari perché non sapevamo se sarebbe arrivato vivo in ospedale. Per 10 giorni è rimasto in coma. Nelle prime 3 settimane era in pericolo di vita, noi non abbiamo dormito praticamente mai perché poteva arrivare una chiamata in qualsiasi momento”.
Sono serviti due interventi per riparare il danno cerebrale. Poi, il lento recupero: “Papà era intubato, comunicava con gli occhi e poi con i gesti. Ha perso fino a 30 chili, lo ha aiutato il fatto di essere stato un grande atleta. La riabilitazione è stata seguito da uno staff di altissimo livello, in 18 mesi ha fatto enormi progressi. In queste situazioni può servire molto più tempo”, dice il figlio maggiore dell’ex calciatore.