(Adnkronos) – Alle promesse lunghe 31 anni lui non crede più. “Parole vuote a cui non sono seguiti i fatti”. Così come all’antimafia di ‘professione’, a chi “prima prende il gettone di presenza e dopo fa legalità”. Luciano Traina, fratello di Claudio, l’agente di scorta morto insieme a Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Agostino Catalano, nella strage di via D’Amelio che costò la vita al giudice Paolo Borsellino, è un fiume in piena. “In tanti hanno costruito carriere sui morti ammazzati. Molta gente ha vissuto e vive sulle nostre spalle e sul sangue dei nostri cari”.
A pochi giorni dall’anniversario dell’eccidio l’ex poliziotto che nel maggio del 1996 era nella squadra che ha catturato Giovanni Brusca si sfoga con l’Adnkronos. “La verità piena sulle stragi non l’avremo mai. A 70 anni ho perso la speranza anche di poter arrivare a conoscere brandelli di quella verità. Manca la volontà politica di andare fino in fondo, molti dei protagonisti di quegli anni si sono portati nella tomba i segreti che custodivano e chi ancora vive tace. Ancora aspettiamo di sapere chi ha preso l’agenda rossa di Borsellino…”.
E’ arrabbiato Luciano Traina. “In tutti questi anni non è cambiato nulla perché nulla è stato fatto”, dice. Eppure questo sarà il primo anniversario della strage dopo l’arresto dell’ultimo stragista, il boss Matteo Messina Denaro. “La sua cattura dopo 30 anni è una sconfitta dello Stato. Malato e bisognoso di cure, secondo me si è lasciato prendere. Catturato praticamente a casa sua. Una latitanza vissuta nel suo ‘regno’ senza che nessuno si accorgesse di lui prima…”. Il 19 luglio lui non parteciperà alla cerimonia alla caserma Lungaro, sede del reparto Scorte a Palermo. “Non mi va di incontrare personaggi che mi prendono per i fondelli. Vengono qui, il 19 luglio, a fare passerelle e proclami. Vengono con le loro facce tristi a stringere mani a favore di telecamere e a dire ‘faremo’ ma l’indomani tutto è come prima e dei familiari delle vittime chi se ne frega. Sono passati 31 anni e abbiamo visto come sono andate le cose”.
Per tanti anni Luciano Traina è rimasto in silenzio. “Adesso da libero cittadino dico la mia. Quello che ho visto e che continuo a vedere. Prima, durante e dopo le stragi lavoravo alla Squadra mobile, quegli anni li ho vissuti sulla mia pelle, ho sentito fischiare le pallottole. Invece, oggi c’è chi dell’antimafia ne ha fatto una professione, chi racconta vicende che ha letto sui giornali, di cui ha solo sentito parlare e viene qui a dare lezioni, chi sulle spalle delle vittime fa soldi e costruisce carriere”. Lui, invece, archiviati i 40 anni di servizio in Polizia, ha deciso di girare tra i ragazzi. Gratis. “Vado in tutte le scuole in cui mi invitano. Non prendo soldi, perché la legalità non si fa dietro pagamento. Affido ai ragazzi il testimone della memoria perché possa andare avanti anche quando io e gli altri non ci saremo più”.
In via d’Amelio il 19 luglio ci sarà anche lui ad accogliere “quei ragazzi a cui il 23 maggio (giorno dell’anniversario della strage di Capaci, ndr) non è stato consentito di raggiungere l’albero Falcone, in via Notarbartolo. Una pagina triste della storia di Palermo e dell’antimafia. Un’offesa anche per noi familiari delle vittime. Perché il ricordo di Falcone e Borsellino non può avere ‘proprietari’, perché il loro sacrificio è esempio per tutti”. Sul luogo in cui il tritolo di Cosa nostra 31 anni fa spezzò la vita di suo fratello, dei colleghi della scorta e del giudice Paolo Borsellino “tutti saranno accolti, a eccezione dei politici a cui interessano poltrone e passerelle, perché via d’Amelio non è una passerella buona a raccattare qualche voto in più. Il governatore Schifani e il sindaco Lagalla? Non saranno i benvenuti, io non mi sento rappresentato da loro. Sarebbe più opportuno che restassero a casa e lasciassero questo giorno a noi familiari e a chi, come noi, crede realmente nel valore della memoria. In via d’Amelio il 19 luglio tanti arrivano da fuori. Non paghiamo nessuno, vengono perché credono in quello che facciamo, perché come noi vogliono fare memoria – conclude -. Di palermitani ce ne sono ben pochi. Sa perché? Perché non credono più, non alla memoria di Falcone e Borsellino, ma alle istituzioni che dovrebbero rappresentarli”. (di Rossana Lo Castro)