(Adnkronos) – “Ho letto con attenzione” il report del Coa (Centro Operativo Aids) dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sulle nuove diagnosi di infezione da Hiv e credo che il dato più sconcertante siano “i numeri di Aids, cioè i numeri delle persone che non sanno di avere l’infezione e che vanno direttamente in malattia. E’ assurdo morire di Aids perché nessuno ti ha proposto un test nell’era delle super terapie, dell’U=U (undetectable = untransmittable, ‘equazione’ secondo cui avere il virus a livelli non rilevabili equivale a non trasmetterlo, Ndr)”. E’ questa la battaglia su cui vuole concentrarsi ora Rosaria Iardino, presidente della Fondazione ‘The Bridge’ e storica attivista per i diritti delle persone con Hiv: “Rimuovere il consenso informato scritto” al test dell’Hiv “perché ormai è una barriera all’accesso e lavorare sulla cultura di far fare il test a più persone possibili”, dice all’Adnkronos Salute.
L’attivista, passata alla storia perché nel 1991, in piena emergenza Aids, è stata la protagonista di quell’iconica immagine del bacio con l’immunologo Fernando Aiuti – giovane sieropositiva lei, pioniere della ricerca e della lotta contro il virus lui – oggi ritiene sia necessario questo “cambio culturale. Io cercherò in Parlamento di portare il tema all’attenzione del ministro” della Salute Orazio Schillaci, “aprendo una discussione seria, perché la responsabilità di queste morti di Aids è un po’ anche nostra che siamo fermi a questo consenso informato, mentre il test deve essere fatto a tutti. Dobbiamo intervenire se vogliamo eradicare questa malattia, visto che al momento non c’è il vaccino. Abbiamo la responsabilità di mettere tutti a conoscenza della propria condizione sierologica”.
Iardino commenta gli ultimi dati Iss e in particolare quello che mostra come ancora troppi (63%) scoprono l’infezione quando è in fase avanzata. Altro dato significativo: la quota di persone con nuova diagnosi di Aids che ignorava la propria sieropositività e l’ha scoperta nel semestre precedente la diagnosi è aumentata nel 2021 (83%) rispetto al 2020 (80,8%). Fare più test è la chiave, secondo Iardino. “Bisogna cambiare approccio. Questi numeri sono una prova provata che serve un cambio culturale, che bisogna adottare altri strumenti di contrasto all’infezione da Hiv. Probabilmente molte di quelle persone morte di Aids non sarebbero morte se fossero venute a conoscenza della loro condizione. Per la sanità pubblica e il diritto dell’individuo e della collettività dobbiamo togliere tutti gli ostacoli che non fanno fare diagnosi precoce”.
Iardino sottolinea che non è detto che a tutti venga in mente di aver avuto un rapporto a rischio. “Magari a qualcuno è successo, ma non lo considera tale”, ragiona. “Una sera hai un rapporto con un uomo o una donna bellissima che magari non sanno neanche di avere il virus, poi arrivederci e grazie, la cosa finisce lì, nel dimenticatoio”. E invece il contagio c’è stato. “Va cambiata logica. Bisogna far sì che il test dell’Hiv sia sempre nella batteria degli esami che i medici propongono. Costa anche poco, ma in termini di vite umane non c’è discussione scientifica. Negli Usa, per fare un esempio, il consenso verbale al test vale. Facciamo diventare l’Hiv una malattia importante ma ‘come le altre malattie’ anche qui”.
“Dopo l’innovazione portata dal Covid, che ha portato tutti a fare il test per scoprire l’eventuale positività senza problemi, senza che nessuno chieda niente o si stupisca, dobbiamo cogliere la scia. Se questi sono stati gli anni del tampone, ora facciamo l’anno del test dell’Hiv”, esorta Iardino. Il calo delle diagnosi osservato quest’anno “un po’ viene da lontano”, da prima di Covid. “Oggi le persone si curano, c’è meno virus in giro, per l’equazione U=U. Certo c’è stata anche meno attività sessuale nel 2021, fattore che insieme alla sottonotifica delle infezioni ha falsato un po’ i dati” al ribasso ma quello che vediamo è un trend che è confermato”, analizza Iardino. Ma quello che interessa dal punto di vista di politiche pubbliche è il dato delle morti di Aids, di persone che non sapevano di essere malate. Scriviamolo quindi a caratteri cubitali: basta consenso informato scritto per il test dell’Hiv, che oggi è un ostacolo a salvare vite”.
Ne è passato di tempo dal bacio con Aiuti. E oggi, dice Iardino, “siamo a una terapia iniettabile ogni due mesi, che vuol dire aderenza al 100%. Se me lo avessero detto 15 anni fa avrei detto: magari. E’ stata talmente veloce l’evoluzione farmacologica. Oggi si vive tanto quanto come la popolazione generale, le terapie si sono affinate. Io speravo nel vaccino, e ci credo ancora, e non sapevo se avrei avuto anni sufficienti per poterlo vedere. Ci credo ancora ma sicuramente arrivare nel 2022 a 40 anni dall’infezione con farmaci efficaci al 97%, con effetti collaterali sopportabili che neanche si avvicinano a quelli di inizio pandemia Hiv, poter vedere a breve l’arrivo di un’altra svolta, quella dei device sottocute, significa che in qualche modo abbiamo gestito dal punto di vista farmacologico questa malattia. E poi ci sono i morti di Aids. E morire di Aids oggi per non ver fatto un test è assurdo”.