(Adnkronos) – Nelle persone con malattia di Alzheimer sintomatica precoce positiva per l’amiloide, trattate con donanemab, il declino cognitivo e funzionale ha un rallentamento significativo. Sono i risultati dello studio di fase 3 (Trailblazer-Alz 2) – spiega una nota diffusa oggi dalla farmaceutica Lilly – condivisi all’edizione 2023 dell’Alzheimer’s Association International Conference (Aaic) in corso ad Amsterdam, e contemporaneamente pubblicati sul ‘Journal of the American Medical Association’ (Jama).
Questi risultati “danno speranza alle persone con malattia di Alzheimer che hanno urgente bisogno di nuove opzioni terapeutiche – afferma Huzur Devletsah, presidente e direttore generale di Lilly Italy Hub – Questo è il primo studio di fase 3 in cui una terapia capace di modificare la progressione della malattia replica i risultati clinici positivi osservati in uno studio precedente. Se approvato – prosegue Devletsah – riteniamo che donanemab possa fornire alle persone con malattia di Alzheimer benefici clinicamente significativi, nonché la possibilità di completare il loro ciclo di trattamento già 6 mesi dopo che la placca amiloide è stata eliminata. Nell’ambito di un ecosistema sanitario già complesso per quanto riguarda il morbo di Alzheimer, dobbiamo continuare a rimuovere qualsiasi barriera di accesso alla diagnosi e terapia mirate all’amiloide”.
Lilly – continua la nota – aveva precedentemente annunciato che, nel corso dello studio clinico di fase 3, donanemab aveva raggiunto l’obiettivo primario e tutti gli endpoint secondari cognitivi e funzionali. Lo scorso trimestre è stata completata, all’Agenzia del farmaco statunitense (Fda), la richiesta dell’approvazione per il trattamento di persone con malattia di Alzheimer sintomatica precoce positiva per l’amiloide (deterioramento cognitivo lieve o demenza lieve), a prescindere dal loro livello basale di tau. La decisione è prevista entro la fine dell’anno. Sono attualmente in corso le sottomissioni anche ad altre Autorità regolatorie nel mondo, la maggior parte delle quali verrà completata entro la fine dell’anno.
Nello studio Trailblazer-Alz 2 i partecipanti sono stati stratificati in base al loro livello di tau, un biomarcatore predittivo per la progressione della malattia, in un braccio tau medio-basso (a volte indicato come tau intermedio) o in un braccio tau alto, che rappresentava uno stadio patologico successivo di progressione della malattia. Tutti i partecipanti sono stati quindi valutati nell’arco di 18 mesi, utilizzando scale che misurano sia la capacità cognitiva che quella funzionale, tra cui l’Alzheimer’s Disease Rating Scale integrata (iAdrs) e il Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (Cdr-Sb).
Donanemab ha ridotto in modo significativo i livelli di placca amiloide, a prescindere dallo stadio patologico della malattia al basale con un valore medio dell’84% a 18 mesi, rispetto a una diminuzione dell’1% per i partecipanti con placebo. I risultati mostrano che quasi la metà dei partecipanti trattati nello stadio iniziale della malattia non hanno mostrato progressione clinica a un anno. Ulteriori analisi di sottopopolazione hanno dimostrato il trattamento in fase più precoce di malattia hanno avuto un beneficio ancora maggiore, con un rallentamento del declino del 60% rispetto al placebo. Inoltre, l’effetto del trattamento ha continuato ad aumentare rispetto al placebo nel corso dello studio, anche se molti partecipanti hanno completato il ciclo di terapia a 6 o 12 mesi, supportando la somministrazione di durata limitata.
“Questi risultati dimostrano che diagnosticare e trattare le persone più precocemente nel corso della malattia di Alzheimer può portare a un beneficio clinico rilevante – sottolinea Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di neurologia e direttore dell’Istituto di Neurologia clinica agli Spedali Civili di Brescia – Il ritardo nella progressione della malattia nel corso della sperimentazione è significativo e può dare alle persone più tempo per fare le cose che sono significative per loro. Le persone che vivono con la malattia di Alzheimer precoce e sintomatica – ricorda – continuano a lavorare, a godersi i viaggi, a condividere tempo di qualità con la famiglia: vogliono sentirsi se stessi, più a lungo. I risultati di questo studio – conclude Padovani – rafforzano la necessità di diagnosticare e trattare la malattia prima di quanto si faccia oggi”.