(Adnkronos) – Una conferma diagnostica più semplice, rapida ed efficace per l’anemia di Fanconi – malattia genetica rara spesso associata a grave insufficienza della produzione di cellule del sangue, malformazioni congenite e predisposizione allo sviluppo di tumori – sarà possibile grazie i ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che hanno identificato la ‘firma epigenetica’ di questa patologia: una sorta di impronta digitale molecolare riferita al processo che influenza le modalità con cui le cellule leggono le istruzioni del Dna. Il miglioramento della diagnosi, sottolineano dall’Irccs, rappresenta il punto di partenza per una presa in carico tempestiva che possa orientare la famiglia verso terapie specifiche ed efficaci.
L’anemia di Fanconi è una malattia rara che colpisce una persona su 200mila ogni anno, spiega una nota. Si tratta della condizione genetica più comune associata a insufficienza funzionale del midollo osseo ed è spesso accompagnata da malformazioni congenite e da una predisposizione allo sviluppo di tumori (su tutti leucemie e neoplasie epiteliali). Ad oggi sono stati identificati più di venti geni responsabili dello sviluppo di questa malattia, che varia molto nei sintomi e nell’età di insorgenza, rendendo spesso la diagnosi particolarmente complessa.
La conferma diagnostica dell’anemia di Fanconi avviene oggi tramite un test specifico (Deb test) diretto a evidenziare le caratteristiche fragilità cromosomiche correlate alla malattia. Tale test si associa a un’analisi genomica, quando sussiste un sospetto clinico. Questo approccio può incontrare difficoltà dovute alla sensibilità dei metodi attuali e alla necessità di competenze specializzate per l’nterpretazione dei risultati. Inoltre, il processo richiede alcune settimane prima di ottenere un risultato che, in alcuni casi, potrebbe non essere definitivo ai fini della diagnosi. Ora, grazie a uno studio internazionale coordinato da ricercatori e clinici del Bambino Gesù, esiste un nuovo strumento che consente di superare le criticità legate alla diagnosi dell’anemia di Fanconi. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista ‘American Journal of Human Genetics’.
Epigenetica – ricorda la nota – vuol dire ‘sopra la genetica’ e indica dunque qualcosa che si colloca oltre la sequenza dei geni contenuta del Dna. Non solo: studia come il comportamento di questi geni (la loro ‘espressione’) possa essere condizionato da fattori esterni ambientali, tra cui agenti fisici e chimici, età, dieta, attività fisica. Le modifiche epigenetiche sono operate da diverse classi di proteine che direttamente o indirettamente portano a cambiamenti strutturali del Dna, attivando o inibendo l’espressione dei geni. I meccanismi epigenetici che possono modificare l’espressione dei geni sono diversi e in molti casi reversibili. Per questo motivo, lo studio dell’epigenetica ha delle ricadute applicative nella pratica clinica. Tra questi, la metilazione del Dna è un interruttore molecolare che regola l’accensione e lo spegnimento dei geni, influenzando così il modo in cui le cellule interpretano e utilizzano le informazioni genetiche.
I ricercatori del Bambino Gesì hanno studiato il profilo di metilazione del Dna delle cellule del sangue dei soggetti con anemia di Fanconi. Lo studio, condotto grazie a una collaborazione tra i ricercatori della Genetica molecolare e genomica funzionale e i clinici pediatri dell’Oncoematologia, trapianto emopoietico e terapie cellulari, ha coinvolto una coorte principale composta da 25 pazienti e una seconda coorte di 14 pazienti utilizzata come gruppo di controllo. La ricerca ha portato all’individuazione del profilo di metilazione specifico dei soggetti con anemia di Fanconi, cioè della caratteristica firma epigenetica presente nelle loro cellule del sangue. L’identificazione di questa firma permette di superare i limiti dei metodi diagnostici usati finora. Il nuovo strumento, anche grazie allo sviluppo di un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale (machine learning), è stato già applicato con successo per confermare la malattia anche in quei casi in cui la diagnosi restava dubbia dopo impiego degli approcci diagnostici classici. Questo approccio, inoltre, richiede tempi più brevi: circa una settimana.
“Siamo particolarmente soddisfatti della pubblicazione di questo studio su una rivista così prestigiosa, in quanto corona una progettualità collaborativa e offre un innovativo strumento di diagnostica molecolare per la diagnosi di una malattia così rara per la quale il nostro ospedale svolge il ruolo di centro di riferimento nazionale per le procedure trapiantologiche”, commenta Daria Pagliara, primo autore della pubblicazione e medico dell’Area di Oncoematologia pediatrica diretta da Franco Locatelli. “Grazie all’introduzione delle tecnologie genomiche – sottolinea Andrea Ciolfi, co-primo autore del lavoro e ricercatore del Laboratorio di Genetica molecolare e genomica funzionale diretto da Marco Tartaglia – oggi riusciamo a ottenere una diagnosi in più del 60% dei pazienti affetti da malattie orfane di diagnosi, cioè da quadri clinicamente non definiti. Purtroppo, questi test non sono infallibili a causa dei limiti attuali delle conoscenze o degli strumenti diagnostici. Questa criticità vale anche per l’anemia di Fanconi. Con l’identificazione di una firma epigenetica nel Dna delle cellule del sangue dei pazienti affetti da questa malattia si offre un nuovo strumento che permette di superare i limiti tecnici e interpretativi dell’approccio diagnostico basato sul sequenziamento genomico”.