(Adnkronos) – Nel Piano europeo di lotta contro il cancro “il fumo di tabacco viene considerato come la principale causa prevenibile di tumore” per questo motivo “si vuole realizzare un’Europa libera dal tabacco. Tuttavia, tutte le misure proposte dalla Commissione europea appartengono all’ambito delle disposizioni fiscali e dei divieti. Secondo alcuni importanti studi americani sulle misure di contrasto alle dipendenze, tabagismo compreso, negli ultimi 25 anni tasse e divieti hanno aumentato le disuguaglianze senza intervenire nel contenimento dei consumi. Dunque, non aiutano a smettere. Risultato? I forti fumatori continuano ad ammalarsi e a morire a migliaia”. Lo ha detto Fabio Beatrice, direttore scientifico dell’Osservatorio Mohre – Medical observatory on harm reduction, intervenendo oggi in Commissione Affari sociali, nell’ambito dell’esame, in sede di atti dell’Unione europea, della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “Piano europeo di lotta contro il cancro”.
Smettere di fumare “è l’obiettivo fondamentale come il contrasto tra i più giovani – rimarca l’sperto – ma se non si riesce a smettere occorre indicare delle politiche di aiuto, non agire comporta la cronicizzazione della mortalità. In Italia parliamo di 93mila decessi evitabili ogni anno”.
“Divieti e tasse non risolvono il problema della dipendenza da nicotina da fumo perché il fumo è una dipendenza e come tale necessita di essere trattato – spiega Beatrice – ma purtroppo in Europa non esiste un’organizzazione comune per quanto riguarda la lotta al tabagismo e le proposte che devono pervenire ai fumatori per smettere”. In questo complesso scenario, prosegue l’esperto, “si inserisce il tema della riduzione del rischio tabagico perché è noto con assoluta certezza che il cancro legato al fumo è dovuto ai prodotti di combustione: il fumatore diventa dipendente a causa della nicotina ma si ammala e muore a causa dell’inalazione dei prodotti della combustione. Ora è evidente che non si può fare a meno di una politica di aiuto nel caso di una dipendenza ma la proposta dei centri antifumo e della cessazione quale unica strada da proporre al fumatore non sembra al momento dare risultati soddisfacenti. In Italia nei centri antifumo, degli 11,5 milioni di fumatori si rivolgono meno di 10mila tabagisti. Tra le persone che pur vengono aiutate in aderenza alle linee guida, riesce a smettere di fumare, se va bene, la metà. Sostanzialmente questa misura è efficace in una percentuale inferiore allo 0,1% della a popolazione che fuma”.
“Nel Regno Unito e negli Usa – ricorda Beatrice – alcuni recenti studi dimostrano che l’uso di sigarette elettroniche si associa ad una cessazione superiore al 10-15% rispetto a tutte le altre metodiche. Inoltre, è stato visto che i fumatori che svapano frequentemente hanno una probabilità significativamente maggiore di smettere di fumare rispetto a quelli che non usano la sigaretta elettronica. Negli Stati Uniti i Centers for disease control and prevention, i centri per la prevenzione delle malattie, confermano che è molto più probabile che i fumatori che utilizzano sigarette elettroniche riescano a smettere rispetto a quelli che non le utilizzano”.
Smettere di fumare è l’obiettivo fondamentale “come il contrasto tra i più giovani – conclude Beatrice – ma se non si riesce a raggiungere questo obiettivo occorre indicare delle politiche di aiuto per i forti fumatori perché non agire comporta la cronicizzazione della mortalità. In Italia parliamo di 93mila morti evitabili ogni anno. Non bisogna confondere le politiche di auto ai fumatori con le politiche di contrasto al tabagismo e alla prevenzione. Il modello organizzativo della Gran Bretagna appare l’esempio più virtuoso perché riesce a coniugare senza ambiguità la proposta di cessazione, la prevenzione e la politica di aiuto ai fumatori resistenti alla cessazione grazie all’ausilio di sigarette elettroniche” .