(Adnkronos) – “In carcere ci si ammala tanto e curarsi è sempre più difficile, malgrado l’encomiabile impegno dei medici presenti negli istituti. Ma sono sempre meno”. Lo denunciano, attraverso l’Adnkronos Salute, i detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia a Roma che, da qualche anno, hanno dato vita al notiziario ‘Non tutti sanno’, realizzato all’interno del penitenziario. Un appello che ha una valenza generale, per l’intero territorio nazionale, e che per questo i detenuti indirizzano al presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, all’Ordine romano, ai sindacati medici ma anche alle istituzioni tutte e, sul caso specifico, al presidente della Regione del Lazio, Francesco Rocca, anche responsabile della sanità regionale.
“La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse – si legge nel testo firmato da Roberto Monteforte, giornalista coordinatore della redazione di ‘Non tutti sanno’ – infatti, colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà ad usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche anche per i limiti posti dalla detenzione e dal sovraffollamento delle carceri. L’effetto è che per noi il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione. Lo sarà ancora di più se, come abbiamo constatato, risultano sempre meno i medici che decidono di prestare la loro attività nelle carceri”
“Rivolgiamo a lei – continua l’appello che in queste ore comincerà a circolare anche sui social – rappresentante istituzionale dell’intera categoria dei medici, e a chi ne tutela i diritti economico-sindacali questo accorato appello che parte dalla realtà del carcere, con la speranza che possa raggiungere ogni professionista della sanità, ne interpelli la coscienza, ne stimoli l’impegno, sostenga le giuste aspettative economiche e di carriera per chi affronta il disagio di curare la popolazione ‘ristretta’. Per noi la sanità pubblica rappresenta l’unico strumento di tutela della nostra salute, del nostro diritto alla cura, della nostra dignità di cittadini e di persone, di futuro possibile. Vorremmo non fosse dimenticato”.
Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), risponde a stretto giro all’appello che gli era stato rivolto: “Il grido di allarme sulla carenza di assistenza sanitaria in carcere dei detenuti di Rebibbia (ma che vale anche per gli altri istituti di pena) non può restare inascoltato. Attiveremo le istituzioni per quanto possiamo fare noi. E siamo disponibili a sollecitare un tavolo, a trovare soluzioni e per tutto quello che può servire a migliorare il livello di assistenza nelle carceri”. solo questa mattina dai detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia, Roma, che da qualche anno hanno dato vita al notiziario ‘Non tutti sanno’, realizzato all’interno del penitenziario e che denunciano “cure sempre più difficili in carcere per carenza di medici”.
“La competenza in questo ambito – spiega all’Adnkronos Salute Anelli – è regionale perché da qualche anno la sanità penitenziaria è stata tolta al ministero di Grazia e Giustizia ed è stata affidata proprio alle Regioni. Quindi, per il caso specifico, ho deciso di scrivere al presidente della Regione Francesco Rocca, a nome della Federazione. E, per un confronto più generale, ho già preavvertito il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, sottoponendogli questo appello, in modo che fosse anche lui allertato su una situazione di profondo disagio e di necessità di salute che si registra all’interno delle carceri. E ci siamo ripromessi di fare insieme, presto, il punto”.
Per quanto riguarda poi la difficoltà di avere camici bianchi nei penitenziari, Anelli ammette: “I medici non ci vogliono andare perché bisognerebbe aumentare gli standard di sicurezza all’interno, per consentire ai colleghi di svolgere la loro attività in maniera regolare. Ci giungono segnalazioni di aggressioni nei confronti dei medici. E’ un ambiente in cui sicuramente oggi la carenza del personale di polizia penitenziaria rappresenta un vulnus per arrivare a una maggiore assistenza ai detenuti perché i medici, se non si sentono sicuri, non ci vanno”, conclude.