(Adnkronos) – Mezzo secolo fa un team di chirurghi in Texas ebbe l’intuizione di realizzare la prima protesi peniena che sostituisce il sistema idraulico del pene danneggiato dal tumore alla prostata. Da allora sono migliorate le tecniche e i materiali, e per il futuro è allo studio una nuova generazioni di protesi ‘touchless’, di più facile utilizzo, che al posto della ‘pompetta’ hanno un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. A fare il punto è la Società italiana di andrologia (Sia), durante il congresso nazionale in corso a Roma fino al 25 giugno. Gli esperti richiamano l’attenzione delle istituzioni sul fatto che In Italia “appena un paziente su 10 accede all’impianto tramite servizio pubblico o convenzionato”.
Dalle protesi di legno create nel XVI secolo in Francia da Ambroise Paré, all’inserimento di ossa degli anni ’30, alle stecche acriliche degli anni ’50, fino all’inserimento di impianti di polietilene negli anni ’60, bisognerà attendere fino al luglio del 1973 per l’impianto della prima protesi peniena idraulica descritta sulla rivista ‘Urology’ da Scott, Bradley e Timm. L’intervento, eseguito con successo senza problemi di rigetto né di infezioni dagli autori presso la divisione di Urologia del Baylor College of Medicine Texas Medical Center di Houston, Usa, venne realizzato con due pompe anziché una, collocate nella zona scrotale, e l’inserimento submuscolare nell’addome di un serbatoio piatto, che diventerà cilindrico successivamente con un cambio di forma dettato soprattutto per facilitare il lavoro del chirurgo.
“Dal primo impianto, le protesi sono evolute con l’avvento di nuove tecnologie, nuovi materiali, e con il perfezionamento della tecnica chirurgica sono diventate una procedura sicura, mininvasiva ed efficace. Il posizionamento protesico richiede circa un’ora ed è completamente nascosto perché non ci sono componenti esterne – illustra Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore di Urologia all’università Federico II di Napoli – La convalescenza è molto breve e i tempi di recupero complessivamente rapidi: nel giro di un mese e mezzo circa si può riprendere ad avere una vita sessuale attiva con una erezione ripristinata al 100%. Il principale rischio è quello di infezione della protesi, che ne richiede l’immediata rimozione. Tale complicanza è tuttavia molto bassa e avviene in un caso ogni mille impianti”.
“Oggi è in sperimentazione presso l’ospedale universitario Eleuterio Gonzalez della Universidad Autonoma di Monterrey, in Messico, un prototipo penieno che ha il vantaggio di essere attivato senza la necessità di pompare manualmente sullo scroto, come avviene tipicamente negli impianti idraulici convenzionali – racconta Simone Cilio, andrologo del dipartimento di Neuroscienze, Scienze riproduttive e Odontostomatologia, unità di Urologia dell’università Federico II di Napoli – In questo caso, è un neurotrasmettitore modulare che percepisce lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. Per il futuro, si sta studiando anche un altro meccanismo che permette di innescare la funzione di erezione per induzione termica, grazie alla attivazione di un elettromagnete”.
L’impianto protesico, da pochi anni introdotto anche in Italia e oggi in sperimentazione presso l’Urological Institute and Department of Urology della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, Usa, è stato descritto nello studio pubblicato su ‘The Journal of Sexual Medicine’. Il prototipo di protesi è costituito da un cilindro impiantabile che usa tubi in lega di nichel-titanio al posto di silicone rigido. Questa tipologia di protesi non gonfiabile elimina la necessità di serbatoi e pompe, rendendo il dispositivo più facile da utilizzare.
Il balzo tecnologico che potrebbe permettere a molti uomini di avere una vita sessuale appagante è fermato in Italia dalla burocrazia, rilevano gli specialisti. “A distanza di 50 anni l’intervento oggi è sicuro, efficace, mininvasivo e in futuro di utilizzo più agevole, ma non è ancora inserito nei Lea del nostro Paese – denuncia la Sia – nonostante la recente approvazione del decreto tariffe. Così, per i limiti di budget, solo poche strutture pubbliche lo assicurano e appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale. Il restante 90% è costretto a ricorrere al privato. L’intervento deve essere inserito quanto prima nei Livelli essenziali di assistenza perché non sono più accettabili differenze di genere nei trattamenti oncologici, nonostante il problema riguardi migliaia di uomini e imponga un decisivo cambio di passo”.
“Ogni anno in Italia circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e, di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all’impianto di protesi peniena per risolverla”, ricordano gli andrologi. “Le protesi peniene non sono un vezzo o un lusso, ma un diritto per continuare una normale e degna vita di coppia quando le terapie mediche falliscono”, avverte Palmieri.
“L’efficacia terapeutica di questi device e il carattere ‘non estetico’ dell’intervento – prosegue il presidente Sia – sono infatti ampiamente riconosciuti dalle più recenti linee guida europee per gli uomini reduci da chirurgia oncologica per la prostata, ma anche per vescica e retto, che superano il cancro e però perdono ancora giovani la propria funzionalità sessuale. Ma il problema riguarda anche altre malattie, dal diabete a patologie neurologiche, fino a malattie deformative del pene che impediscono l’erezione. Tuttavia, contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie a seguito di una mastectomia, gli uomini non ricevono invece lo stesso trattamento dopo una chirurgia pelvica radicale”.
“Questo succede perché si tratta di presidi non compresi nei Lea che presentano un Drg che non copre le spese: 2.740 euro a fronte di un costo per la sola protesi di circa 8.500 euro, più sala operatoria e chirurghi – rimarca Marco Bitelli, co-presidente del congresso Sia e dirigente medico unità ospedaliera complessa di Urologia all’ospedale San Sebastiano di Frascati – La conseguenza è che questi presidi vengono concessi con il contagocce, non più di 3-5 l’anno per ogni centro in cui viene praticata questa chirurgia. Stando ai dati del Registro nazionale della Sia, a fronte di 3mila richieste, le protesi erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. A conti fatti, meno di un paziente su 10 elegibili accede all’impianto tramite la sanità pubblica e convenzionata: tutti gli altri devono rivolgersi alle strutture private”.
“La Società italiana di andrologia – conclude Palmieri – rinnova l’appello al ministero della Salute e alle Regioni affinché sia modificato il decreto tariffe recentemente approvato e l’intervento di protesi peniena venga inserito quanto prima nei Lea, per garantire a tutti i pazienti oncologici e non, candidati all’impianto, un accesso equo e omogeneo alle cure, destinate a incidere su aspetti critici legati alla salute psicofisica di migliaia di uomini di ogni età”.