(Adnkronos) – “La lezione della Cina” alle prese con una maxi ondata di Covid che sta allarmando il mondo “è evidente: la differenza non la fa il livello di aggressività del virus”: anche “una variante come Omicron (da molti stupidamente derubricata a virus del raffreddore), quando si diffonde in una popolazione completamente suscettibile, produce danni analoghi a quelli che provocò la variante originale a Bergamo o la variante Delta in India”. A sottolinearlo l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’Università del Salento, ricordando in un post su Facebook che una “pandemia finisce quando l’arbritro fischia e una cosa è certa: l’arbitro, ovvero l’Organizzazione mondiale della sanità, non ha per nulla fischiato la fine della partita”.
“Niente panico – esorta l’esperto – e osserviamo attentamente cosa avviene in Cina per essere pronti a rispondere a (poco) eventuali varianti più aggressive. Per il resto, aspettiamo pazientemente che l’arbitro fischi”.
“Osservando quello che sta accadendo in queste settimane in Cina – analizza Lopalco – gli interrogativi da porsi sia sul passato che sul futuro della gestione pandemica sono tanti. Con una certezza: la strategia ‘zero-Covid’ portata avanti dalle autorità cinesi era un fallimento ampiamente annunciato”.
“Facciamo però chiarezza: le quarantene e i lockdown non sono di per sé inutili – precisa l’epidemiologo – Sono stati essenziali nelle fasi iniziali della pandemia. Lo scopo delle strette misure ‘non farmacologiche’ è” infatti “quello di prendere tempo, di rallentare la corsa del virus sia per rafforzare le misure di risposta assistenziale, sia per mettere in atto la campagna vaccinale. Una volta avviata la protezione immunitaria della popolazione a rischio, le misure non farmacologiche (le chiusure, per intenderci) possono essere progressivamente allentate. In Cina questi principi basilari di risposta alla pandemia non sono stati seguiti. Il motivo è complesso e solo in parte spiegabile con l’assurda attività di propaganda messa in atto dal governo”.
“In Cina – ricorda l’esperto – non hanno usato i vaccini ad mRna, che si sono dimostrati sul campo i più efficaci, ma hanno distribuito vaccini di produzione locale che hanno funzionato poco. Inoltre in quello sterminato Paese non esiste certo un sistema sanitario di livello neanche lontanamente paragonabile al nostro. In Italia, per vaccinare la quasi totalità della popolazione, abbiamo messo in moto una macchina straordinaria (e anche molto costosa). Anche avendo a disposizione i nostri vaccini – puntualizza Lopalco – non penso che in Cina avrebbero mai potuto raggiungere le nostre coperture utilizzando le loro infrastrutture sanitarie”.
Insomma, con il passaggio improvviso dalla strategia ‘zero-Covid’ all’apertura, “si è creata la classica tempesta perfetta in cui le terribili restrizioni non hanno potuto reggere così a lungo e, una volta libero di circolare, il virus ha trovato una popolazione quasi totalmente suscettibile: né vaccinata, né immunizzata naturalmente. Sars-CoV-2 ha ora una prateria di un miliardo e mezzo di persone in cui pascolare. Sarà questo un rischio per il futuro della pandemia negli altri Paesi?”, dice ancora definendosi “tendenzialmente ottimista”.
“Direi che la probabilità che si sviluppi in quella situazione una nuova variante con caratteristiche di aggressività peggiori di quelle della famiglia Omicron è piuttosto bassa”, spiega l’espero in un post su Facebook. “Bassa perché – precisa – anche se avvenisse, troverebbe comunque nel resto del mondo una popolazione ormai abbondantemente esposta alla famigerata proteina Spike” del coronavirus pandemico “e quindi parzialmente immune”.