(Adnkronos) – “Tre anni fa, proprio nel mio laboratorio, è stato diagnosticato il primo caso italiano di Covid-19. Sono stati tre anni lunghissimi”, tre anni che hanno cambiato tutto: “La sensazione” di Maria Rita Gismondo, a capo del team che il 20 febbraio 2020 all’Ospedale Sacco di Milano scoprì la positività del ‘paziente uno’ di Codogno, nel Lodigiano, “è che sia passata veramente un’epoca”. Che sia finita un’era, che quel tampone abbia fatto da spartiacque fra un passato che uguale non tornerà più e un futuro da costruire facendo tesoro di ciò che è stato per non ripetere gli errori commessi. Lo dobbiamo come “un ricordo a tutte le vittime”, dice Gismondo all’Adnkronos Salute. Morti “che forse, ce lo auguriamo, la scienza un domani potrà evitare almeno in parte”.
Dal test di Mattia Maestri, il ‘caso 1’ che svelò l’ingresso dell’epidemia di nuovo Coronavirus in Italia, sono passati “tre anni che ci hanno molto cambiato – riflette la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze del Sacco – che ci hanno graffiato, fatto male, ma ci hanno anche insegnato qualcosa. Siamo adesso nel momento in cui potremmo raccogliere i frutti” di quanto abbiamo vissuto e sofferto, “perché nella prossima pandemia – auspica l’esperta – non si ripetano gli sbagli che sono stati fatti in questa, forse inevitabilmente”.
Nella mente di chi, in una notte di tre anni fa, nel padiglione numero 62 del Sacco guardava incredulo l’esito di un test che si sarebbe abbattuto sul Paese come uno tsunami, il ricordo non sbiadisce. Oggi riaffiora uguale a com’era a poche settimane da quel giorno: “Sono passati tre mesi che sembrano 300 anni – diceva la microbiologa già il 21 maggio 2020 – Covid ci ha traghettato da un pianeta a un altro e ancora non sappiamo se sul pianeta di prima ci torneremo mai”.