(Adnkronos) – In Italia circa 1.300 persone convivono con il disturbo dello spettro della neuromielite ottica (Nmosd), malattia rara autoimmune caratterizzata da attacchi acuti, ricorrenti e irreversibili al sistema nervoso centrale, che possono portare a cecità e paralisi. Per questi pazienti lo scorso marzo l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato, come terapia di seconda linea, la rimborsabilità di inebilizumab per i pazienti adulti affetti da questa patologia. Una terapia che, secondo una ricerca Hta (Health Technology Assessment) a cura di Altems Advisory, comporterebbe in totale un risparmio per il Servizio sanitario nazionale pari a 8 milioni di euro in 3 anni. E alla malattia e alla novità terapeutica è dedicato il convegno nazionale ‘Change Direction in Nmosd’, oggi e domani a Roma all’Hotel Villa Pamphili. Nel corso dell’evento, oltre un centinaio di specialisti della malattia si riuniranno per una serie di relazioni, tavole rotonde e workshop.
“La Nmosd è una rara malattia autoimmune che coinvolge il sistema nervoso centrale – afferma Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia, del Servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano – Si stima che in Italia ne sono affette circa 1.300 persone, con circa 100 nuove diagnosi all’anno. La malattia si caratterizza per episodi acuti di disabilità neurologica, spesso grave, spesso solo parzialmente reversibile e secondaria a estese aree di danno tissutale che colpiscono più frequentemente il nervo ottico, il midollo spinale e il tronco encefalico. Senza una cura adeguata – avverte l’esperto – vi è un alto rischio di morbilità e mortalità. Infatti, se la patologia non viene trattata, in media un terzo dei pazienti muore entro 5 anni dal primo attacco. Mentre uno su 2 è costretto alla sedia a rotelle”.
Al centro del convegno anche i primi risultati di una ricerca Hta di Altems Advisory, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in corso di finalizzazione su inebilizumab e in particolare sugli aspetti economici, organizzativi e sociali legati alla terapia. “Stiamo riscontrando aspetti positivi sull’introduzione della molecola – riferisce Eugenio Di Brino, co-founder & partner di Altems Advisory, Università Cattolica del Sacro Cuore – In particolare, quasi la metà del tempo dell’impegno degli operatori sanitari ospedalieri, pazienti e caregiver verrebbe risparmiato per la somministrazione del trattamento per via endovenosa. Se tutti i pazienti in Italia fossero potenzialmente trattati tutti con inebilizumab – rimarca Di Brino – il risparmio medio del tempo di somministrazione è stato quantificato, in termini di personale sanitario ospedaliero, in circa 900mila euro. I costi sociali evitati ammontano invece a 600mila euro e sono rappresentati dalle perdite di produttività evitate al paziente o al caregiver. In totale, l’introduzione di inebilizumab potrebbe comportare un risparmio per il Ssn pari a 8 milioni di euro in 3 anni”.
Inebilizumab – spiega una nota – è in grado di ridurre la quantità di linfociti B che esprimono l’antigene CD19. Il farmaco, un anticorpo monoclonale umanizzato, è approvato per il trattamento di pazienti sieropositivi per le immunoglobuline G anti-aquaporina-4 (IgG AQP4), presenti in circa il 75% dei pazienti con questa malattia.
“Inebilizumab è un anticorpo monoclonale innovativo e specificamente designato per raggiungere le cellule biologicamente attive nella malattia – sottolinea Paolo Emilio Alboini, dirigente medico presso l’Irccs Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza San Giovanni Rotondo, Foggia – Il farmaco agisce infatti direttamente contro le plasmacellule che producono gli anticorpi patogenetici. E’ questo il valore aggiunto rispetto ad altri approcci terapeutici: riuscire a raggiungere alcune delle cellule responsabili del processo di malattia”. La somministrazione avviene per via endovenosa tramite un’infusione di circa 90 minuti. “Dopo la fase di induzione, che si realizza nei primi 15 giorni, si procede con un richiamo ogni 6 mesi nella fase di mantenimento”. E’ quindi un “trattamento ‘favorevole’ per il Ssn e anche per i pazienti che, in un anno, devono sottoporsi solo a due sedute, ciascuna della durata di un’ora e mezza circa. Ma uno dei maggiori bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti è riuscire a ottenere una corretta diagnosi. La neuromielite ottica, infatti, è una malattia molto rara e in oltre il 40% dei casi viene confusa con la sclerosi multipla”.
“E’ fondamentale la tempestività della diagnosi per avere poi un successivo intervento terapeutico precoce – evidenzia Filippi – Solo così è possibile ridurre il rischio di accumulare disabilità perché ogni lesione, causata dalla patologia al cervello o al midollo spinale, può non permettere un’adeguata ripresa del funzionamento dei tessuti”.
La Nmosd colpisce in totale più di 10mila persone in tutta Europa e l’età media di esordio della patologia è 40 anni. Le donne sono 9 volte più a rischio di insorgenza della malattia rispetto agli uomini. “L’imprevedibilità, la severità e le conseguenze delle ricadute cliniche presentano un forte impatto negativo sulla qualità di vita – illustra Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione italiana sclerosi multipla (Fism) e direttore generale dell’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) – Il dolore cronico interessa 3 pazienti su 4, mentre il 40% soffre di depressione. Molto frequenti anche affaticabilità, disturbi della sensibilità e sintomi sfinterici. Ma soprattutto la malattia può provocare un deficit severo visivo e dopo 5 anni circa metà dei pazienti con Nmosd diventa cieco. Tutti questi sintomi per il 60% dei malati rappresentano un forte limite sia nella scelta che nel mantenimento del lavoro, ma anche nello svolgimento di gran parte delle attività quotidiane. Trattamenti sempre più efficaci per questa patologia, come l’anticorpo inebilizumab, consentono di ridurre il rischio di danni irreversibili. Proprio per questo – conclude Battaglia – sarebbe auspicabile un’indicazione di rimborsabilità come terapia di prima linea come già avviene in altri Paesi europei. Questo permetterebbe di risparmiare al paziente tempo prezioso, utilizzando il prima possibile un trattamento estremamente efficace e di fatto ‘preventivo’ rispetto ai danni permanenti”.