(Adnkronos) – “Un grido di dolore che, dal profondo della sofferenza quotidiana, vuole tradursi non solo in una denuncia, ma in proposte concrete”. E’ con queste parole che 90 associazioni presentano la loro ‘Carta delle famiglie con persone non autosufficienti’. Un atto di denuncia, ma anche un documento costruttivo, che mette in luce sia le criticità dell’assistenza e del supporto previsti oggi per la disabilità gravissima sia possibili soluzioni. L’appello è in particolare uno: “I bisogni della persona con disabilità non devono essere considerati come slegati da quelli della famiglia e del caregiver”. A chiederlo sono genitori di bambini con malattie rare, fratelli e sorelle di persone con disabilità gravissime, che hanno deciso di mettere nero su bianco quello che non funziona, chiedendo alla politica un impegno a intervenire per correggerlo.
Il documento, spiegano i promotori all’Adnkronos Salute, è stato inviato nei giorni scorsi al ministro per la Disabilità Alessandra Locatelli, al viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maria Teresa Bellucci e al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato. L’iniziativa è partita dalle associazioni Nessuno è escluso e SCN2A Italia Famiglie in rete, che hanno fatto circolare il testo raccogliendo integrazioni e suggerimenti dalle altre realtà che rappresentano questi pazienti. Non si chiedono necessariamente risorse aggiuntive – precisano – ma una riorganizzazione della presa in carico di situazioni complesse, che tenga in considerazione come un tutt’uno i bisogni individuali del paziente e quelli di chi si occupa di lui. Caregiver che, per effetto di storture, ostacoli burocratici, differenze geografiche, gap e carenze attualmente esistenti si trovano a dover sopperire a tutto ciò che manca. “Genitori, fratelli, sorelle, nonni” sono “spesso portati dalla mancanza di un sistema opportunamente organizzato al punto di dover abdicare alla propria vita sociale, relazionale e lavorativa”.
In una ventina di pagine, gli autori della Carta analizzano tre punti nodali della presa in carico: la valutazione multidimensionale (processo che inquadra la natura e l’entità dei bisogni – fisici, psichici, sociali e così via – della persona); l’assistenza domiciliare; le strutture residenziali per persone con disabilità.
UNA ‘QUESTIONE DI FAMIGLIA’ – Sul primo ‘capitolo’, quello della valutazione multidimensionale, le famiglie lamentano frammentarietà dei percorsi, scarso coinvolgimento, équipe con formazione inadeguata rispetto alla varietà delle disabilità gravissime e delle malattie rare, scarso rilievo attribuito ad alcuni aspetti non prettamente sanitari. Il risultato è che spesso la proposta assistenziale che ne deriva è come un vestito ‘taglia unica’ che non calza bene sulla persona e sulla famiglia che deve ‘indossarlo’.
Per porre rimedio alle criticità le famiglie propongono di migliorare la comunicazione e la convocazione della persona con disabilità per queste valutazioni, e la trasparenza, oltre a garantire l’obbligo di partecipazione e di consenso da parte della famiglia a questo processo. Chiedono poi piani assistenziali completi e “personalizzabili”, come appunto ‘vestiti su misura’, e una serie di correttivi che entrano nel dettaglio di ogni problema.
ASSISTENZA DOMICILIARE CHIAVE DI INCLUSIVITA’ – poi c’è il capitolo dell’assistenza domiciliare integrata (Adi), che viene ritenuta la chiave per “preservare il diritto delle persone con disabilità alla non segregazione”. Ma per esserlo va migliorata. I problemi vanno dal fatto che l’assistenza attualmente proposta ha un carattere prevalentemente sanitario – e quindi “anacronistico”, rilevano le famiglie – al nodo delle risorse regionali che non sono continuative. E, ancora, l’Adi viene prevista a domicilio o a scuola e “solo nel Comune di residenza” e con questi vincoli “si traduce nella vita quotidiana in una ridotta inclusività”. Altro nodo la fruizione dell’Adi “solo in presenza del caregiver”, i budget “non allineati con i bisogni”, le “disomogeneità nelle prestazioni e nel personale”. Fra le proposte, quella di creare connessione con gli altri percorsi assistenziali e di usare lo strumento dell’Isee sociosanitario (“calcolato solo sul reddito della persona con disabilità gravissima, indipendentemente dai redditi della propria famiglia”).
STRUTTURE RESIDENZIALI E SCELTE OBBLIGATE – Infine si passano ‘ai raggi X’ le strutture residenziali per persone con disabilità. Le famiglie parlano spesso di “scelte ‘obbligate'” perché i nuclei con persone non autosufficienti “vengono indirizzati o sono costretti, loro malgrado, ad accettare il ricovero presso le strutture riabilitative in modalità residenziale per una serie di motivazioni, ad esempio perché monogenitoriali o caregiver soli o perché privi dell’assistenza domiciliare compatibile con un progetto di vita indipendente”, si legge nella Carta.
Poi in queste strutture, però, “non ci sono le condizioni per un reale programma di riabilitazione individuale a causa della copiosità ed eterogeneità dei gruppi a cui la persona con disabilità deve necessariamente adattarsi”, evidenziano i firmatari della Carta. In questi centri ci possono essere gruppi che per esempio hanno un “rapporto tra utenti-operatori anche di 1 a 8 durante il giorno o di 1 a 16 nella notte”. E un altro elemento segnalato è “l’assenza di progetti di carattere sociale”. Nel documento si affrontano infine i nodi dell’uso dei sedativi, della continuità affettiva e del rischio infettivo. E si propongono un elenco di punti che permetterebbero di approdare a un nuovo modello di strutture residenziali.
La prima occasione per parlare dei temi del documento sarà l’evento di presentazione del libro ‘Nessuno è escluso’ di Fortunato Nicoletti (vicepresidente dell’associazione), che si terrà alla Camera dei deputati mercoledì 8 novembre nell’ambito dell’incontro ‘Disabilità. Una questione di famiglia’, dove saranno presenti i rappresentanti delle istituzioni.