(Adnkronos) – Obiettivo: “Tornare a crescere in modo sostenibile”. E’ la sfida con cui Biogen si sta misurando da quando nel novembre 2022 al suo vertice è arrivato Christopher A. Viehbacher, presidente e Ceo dell’azienda, che alla fine del secondo trimestre 2023 ha annunciato un programma battezzato ‘Fit for Growth’, che include anche una riduzione dell’organico di circa mille persone in tutta l’organizzazione e un piano per reinvestire una quota delle risorse liberate in lanci di prodotti e ricerca e sviluppo. “E’ un programma che genererà un miliardo di dollari di risparmi lordi”, evidenzia il manager in un’intervista all’Adnkronos Salute in cui fa il punto anche sulla visione e sulla strategia messa in campo dall’azienda. Il quadro dell’affiliata italiana, spiegano dalla società, al momento non è atteso che cambi.
Accanto a questo tipo di intervento, continua il Ceo di Biogen, “abbiamo appena concluso un’acquisizione da 7 miliardi e mezzo di dollari”, di Reata Pharmaceuticals, “che porta in dote un nuovo prodotto”, omaveloxolone per il trattamento dell’atassia di Friedreich. Perché tutto questo? “Biogen – analizza – è stata fondata 45 anni fa ed è stata davvero molto forte nel trattamento della sclerosi multipla, malattia per la quale ha lanciato numerosi prodotti. Ma la maggior parte di questi sta ormai giungendo al termine del periodo di esclusività sul mercato. Anche se abbiamo continuato a fare ricerca sulla patologia, non avremo nuovi prodotti da lanciare nei prossimi 5 anni. Di conseguenza, prodotti che hanno effettivamente reso forti i ricavi di Biogen stanno iniziando a vedere un declino e i ricavi di Biogen come gruppo globale sono diminuiti negli ultimi 4 anni. L’azienda aveva un nuovo trattamento per l’Alzheimer”, aducanumab, “sul quale penso siano stati fatti errori di valutazione e quel prodotto in realtà non è mai stato lanciato con successo”.
Da qui scaturisce la riflessione avviata in Biogen. “Abbiamo identificato 5 cose che dovevamo fare”, elenca Viehbacher: “Spostare l’attenzione e le risorse dell’azienda sul lancio di nuovi prodotti, perché quest’anno ne avremo diversi; migliorare alcuni dei prodotti esistenti che hanno ancora l’esclusività sul mercato, come nusinersen” per la Sma. “In terzo luogo, sebbene le nostre affiliate siano in realtà piuttosto efficienti, Biogen aveva una base di costi molto elevata e i costi non erano nella misura necessaria per supportare la crescita futura. Quindi abbiamo dovuto ridurre la base di costi esistente in modo da poter reinvestire nella crescita di nuove attività. Abbiamo poi seguito l’intero processo di ricerca e sviluppo per poterci concentrare davvero su quei prodotti che hanno il maggiore impatto in futuro. E il punto finale è che abbiamo bisogno di nuove fonti di crescita. Così abbiamo iniziato a guardare cosa potevamo fare sulla nostra crescita esterna e in particolare nelle acquisizioni”.
“Penso che abbiamo fatto progressi su tutti questi fronti”, rimarca il Ceo, ricordando “la piena approvazione negli Usa” dell’anticorpo anti-Alzheimer lecanemab e il via libera sempre in Usa al nuovo farmaco per la depressione post partum. I dati del terzo trimestre 2023 indicano ricavi totali per 2,53 miliardi, +1% rispetto allo stesso periodo del 2022, +3% a tassi di cambio costanti. Cosa ha ispirato le scelte di Biogen in materia di merger & acquisition? “L’idea di costruire un ‘franchising’ per le malattie rare, perché penso che sia qualcosa che corrisponda davvero alle capacità di Biogen. L’acquisizione di Reata” va in questa direzione, dice Viehbacher.
Parallelamente, prosegue, “abbiamo riprogettato completamente dal basso l’azienda. Abbiamo scoperto che avevamo moltissimi livelli nell’organizzazione e una delle cose che è emersa dalle nostre survey è che ci vuole molto tempo per prendere una decisione. Quindi abbiamo effettivamente cercato di eliminare alcuni livelli di gestione, in particolare nelle nostre organizzazioni centrali. Allo stesso tempo, stiamo cercando di delegare più responsabilità ai nostri affiliati”, assicura. Il programma Fit for Growth, puntualizza il manager, “non è stato lanciato solo per ottenere risparmi. Eravamo un’azienda completamente dedicata alla sclerosi multipla e ora siamo impegnati nell’Alzheimer, nell’atassia di Friedreich, nell’atrofia muscolare spinale e stiamo esaminando altri campi”.
La sanità digitale potrebbe essere di interesse? “E’ un campo piuttosto vasto e può coprire qualsiasi cosa, dalle cartelle cliniche elettroniche agli strumenti digitali per misurare i progressi di salute delle persone”, quindi “dispositivi indossabili ad esempio”, o “l’intelligenza artificiale” e tutte le sue applicazioni potenziali, ragiona il Ceo. Con l’Ai “possiamo migliorare molti dei nostri processi aziendali o usarla sul nostro database Alzheimer, uno dei più grandi. Insomma, il digitale sta sicuramente arrivando, ma nel campo sanitario”, su una materia delicata come è la salute del paziente, “forse più lentamente che in altri campi”, conclude Viehbacher.
LA PILLOLA PER LA DEPRESSIONE POST PARTUM – Nei piani di Biogen c’è anche quello di portare in Ue la prima pillola contro la depressione post partum, zuranolone, che negli Usa ha ottenuto l’approvazione della Fda ad agosto. “La nostra intenzione è ora quella di portare il farmaco anche in Europa” annuncia Viehbacher. “Stiamo lavorando per sottoporre la richiesta di approvazione l’anno prossimo”, nel 2024, “all’Agenzia europea del farmaco Ema”. La risposta dell’ente regolatorio Ue, considerati i tempi tecnici necessari per la revisione potrebbe arrivare nel 2024 stesso o anche nel 2025, dipende da quando partirà effettivamente l’application dall’azienda. Quando è arrivato il via libera negli States, c’era aspettativa tra gli esperti per il lancio di zuranolone. “La depressione post partum – osserva Viehbacher – è una condizione molto importante”. Sottodiagnosticata e sottotrattata, ha evidenziato il manager quando c’è stato l’ok Usa.
“Probabilmente colpisce più madri di quanto pensiamo. La stima è circa una su 12, ma in realtà il dato potrebbe essere più alto” analizza il Ceo. E’ molto difficile, perché “le neomamme “si sentono enormemente in colpa per il fatto di non essere felici di avere” fra le braccia “il loro bambino. Pensano solo che ci deve essere qualcosa che non va. Si dicono: ‘Dovrei essere felice e non lo sono’. E non vogliono confidarlo a nessuno”. Con zuranolone, che segna l’ingresso di Biogen nell’area neuropsichiatrica, l’idea è di dare uno strumento ai camici bianchi per aiutare le mamme a superare questa problematica. E’ un trattamento orale che si assume una volta al giorno per 14 giorni.
Commercializzare un farmaco di questo tipo richiede “un approccio speciale”, fa notare Viehbacher. “Dovremo fare due cose: la prima è aiutare i medici che tradizionalmente non trattano la depressione a capire come diagnosticarla e riconoscerla, e a supportare le madri. E la seconda è che dovremo ‘destigmatizzare’ tutto questo, in modo che le mamme si sentano più a loro agio nel cercare aiuto. Penso che potremmo usare i social media” per questa attività di sensibilizzazione “e potremmo aver bisogno di alcuni portavoce. Ci ha incoraggiato – rimarca il Ceo Biogen – l’elevata attenzione mediatica per questo farmaco. Se le mamme saranno in grado di parlare del problema, sarà già il primo passo per ricevere cure. Riconoscere che ci sono altre madri che soffrono di questa condizione, può rendere tutto molto più semplice. Quindi stiamo cercando di supportare le madri nel sentirsi bene nel cercare un trattamento. E poi, quando le mamme vanno dal medico, dobbiamo assicurarci che abbiano il supporto adeguato. Non si tratta solo di dire: abbiamo una nuova pillola per la depressione. C’è molto da modellare. E noi pensiamo di poter dare un contributo importante all’assistenza sanitaria con questo farmaco”.
SULL’ALZHEIMER IN CAMPO PER I PROSSIMI 25 ANNI – Un anticorpo monoclonale, che agisce contro l’Alzheimer riducendo le placche di beta-amiloide, da lanciare in Europa l’anno prossimo; lo sviluppo di un nuovo farmaco mirato a colpire la proteina Tau; il lavoro per nuove formulazioni più a misura di paziente come quella sottocute. Sono alcuni dei progetti che Biogen ha in cantiere per la malattia di Alzheimer, un campo sul quale sta intensificando gli sforzi, nonostante le difficoltà poste dalla patologia, che ha spinto anche alcune aziende ad abbandonare il campo. “Prevediamo che per i prossimi 25 anni Biogen sarà coinvolta in modo significativo nella ricerca di nuovi trattamenti per questa malattia, oltre a fornire la terapia attuale”, dice Viehbacher.
“Sull’Alzheimer abbiamo avuto una svolta – ripercorre il manager – Con lecanemab”, sviluppato con Eisai, “abbiamo scoperto che avevamo l’anticorpo giusto per poter introdurre abbastanza farmaco nel cervello e ridurre le placche di beta-amiloide abbastanza da poter effettivamente vedere un beneficio cognitivo. E ora sappiamo anche che prima trattiamo – prima che troppi neuroni muoiano – e meglio è. Per quanto riguarda l’Europa, la richiesta di autorizzazione per il farmaco è stata presentata alla agenzia europea del farmaco Ema nel gennaio di quest’anno. E se tutto andrà bene, ci aspetteremmo di ottenere l’approvazione nel primo trimestre del 2024”, annuncia Viehbacher. “E ci aspettiamo di presentare in Ue anche la formulazione sottocutanea” di lecanemab-irmb, e gli altri progetti su cui si sta lavorando.
“Oggi sappiamo che in realtà quando si manifestano i sintomi è quasi troppo tardi. E che le placche si iniziano a sviluppare 10-20 anni prima di manifestare un sintomo. Quindi abbiamo avviato uno studio, chiamato ‘Ahead’, che sta cercando di esaminare i pazienti prima che manifestino i sintomi”, prosegue. Un altro trial si pone il problema del ritorno delle placche, prosegue, e “stiamo esaminando una terapia di mantenimento che permetta di trattare i pazienti in modo da evitarlo”. Dal momento che i pazienti assumeranno questi farmaci più a lungo, è stato preso in considerazione anche il problema ‘logistico’: “In questo momento il paziente deve andare in un centro per l’infusione ogni due settimane. Come possiamo rendergli la vita più facile? Per questo abbiamo sviluppato un’iniezione sottocutanea e la sottoporremo ad approvazione l’anno prossimo”, dice il manager. Per quanto riguarda invece la ‘lotta’ contro altri fattori implicati nell’Alzheimer, “a un’importante conferenza sull’Alzheimer, abbiamo appena dimostrato che un nuovo farmaco inibisce la Tau”. E’ un’osservazione che è stata fatta in “un piccolo numero di pazienti ed è allo stadio iniziale, ma abbiamo visto miglioramenti davvero significativi nell’Alzheimer. Quindi ora spenderemo centinaia di milioni di dollari nei prossimi anni per dimostrare che anche la riduzione dei grovigli di proteina Tau ha dei benefici. Crediamo in tutti questi farmaci? Sì, davvero. E continueremo a lavorare su questo”, conclude Viehbacher.
PERCHE’ INVESTIRE NELLE MALATTIE ORFANE – Un farmaco per “un migliaio di pazienti nel mondo, un centinaio in Italia”, sottogruppo di malati già rari come quelli con Sla. “Investire centinaia di migliaia di dollari con questo obiettivo può sembrare un’operazione all’apparenza senza un senso finanziario nell’immediato, ma ha un senso medico e scientifico”. Perché la ricerca condotta per sviluppare tofersen, trattamento per adulti con sclerosi laterale amiotrofica che presentano una mutazione di un gene chiamato Sod1 (superossido dismutasi 1), ha permesso “di convalidare un biomarcatore, i neurofilamenti” Nfl (neurofilamenti a catena leggera), “e ora chi fa ricerca sulla Sla avrà un lavoro più facile”. Non solo: “I neurofilamenti riguardano anche una serie di altre patologie neurologiche. E tutto questo lavoro pensiamo possa accelerare la capacità nostra e di altre aziende di definire nuovi trattamenti per alcune di queste malattie devastanti”. Viehbacher, spiega con questo esempio la strategia dell’azienda sulle malattie rare.
“In queste patologie – sottolinea – i bisogni insoddisfatti si legano all’assenza di medicinali, e il motivo per cui non ci sono farmaci è che di solito si tratta di malattie più complesse e difficili da comprendere. A Biogen piacciono le sfide. La Sla per esempio è una malattia terribile, spesso le persone muoiono entro 2 anni dalla diagnosi, ma le cause non sono ancora state ben comprese. Trent’anni fa è stato scoperto un gene specifico che causa la Sla in un piccolo numero di pazienti. Biogen ha lavorato molti anni per trovare un modo per interferire con quel gene, così da migliorare la salute di questo sottogruppo di pazienti. Negli Usa se ne contano solo 300”. In Italia, riferiscono dall’azienda, si stima siano tra 80 e 100. Mentre sono 67 i pazienti che nel nostro Paese sono già in terapia con tofersen per uso compassionevole.
Il farmaco è dunque nato così e la sua approvazione, arrivata prima negli Usa, si è basata proprio sulla riduzione del biomarcatore Nfl osservata nei pazienti trattati. E’ vero, ammette Viehbacher, che “la maggior parte delle aziende quando sviluppa un nuovo farmaco guarda prima di tutto all’epidemiologia e si indirizza dove sono presenti molti pazienti. In questo caso noi abbiamo una popolazione molto piccola” di potenziali destinatari del farmaco. “Ma questa attività può offrire un contributo scientifico significativo. E per questo Biogen non si tirerà indietro – assicura – anche se potrebbe non rappresentare una grande opportunità commerciale. Poi è ovvio che un’azienda ha bisogno di sopravvivere e non sopravvive sviluppando solo prodotti del genere”.
In quest’ottica Biogen, illustra il manager, ha portato avanti scelte come quella di “acquisire Reata”, un’operazione da “7 miliardi e mezzo di dollari” che ha permesso di “ampliare la nostra presenza sulle malattie rare e ci ha dato un prodotto di crescita a breve termine”, omaveloxolone per il trattamento dell’atassia di Friedreich, rara malattia neuromuscolare, già lanciato negli Stati Uniti, “e che prevediamo di lanciare in Europa l’anno prossimo”. L’acquisizione della società, che si occupa di sviluppo di farmaci che regolano il metabolismo cellulare e l’infiammazione in gravi malattie neurologiche, è stata completata a settembre 2023. E “ci consente di aumentare nuovamente i ricavi – evidenzia Viehbacher – perché è necessario realizzare profitti in modo da poter continuare a spendere in ricerca e sviluppo. Una voce sulla quale noi investiamo oltre il 25% dei nostri ricavi, un dato sopra la media”.