(Adnkronos) –
In Italia da tempo si assiste ad una vera e proprio epidemia di intolleranze al glutine che riguardano circa il 12% della popolazione. Oggi un’ipotesi di ricerca sembra scagionare il glutine e individuare dei fattori anti-nutritivi contenuti del frumento e allo studio ci sono una serie di possibili soluzioni. Domani al Policlinico Universitario ‘A. Gemelli’ Irccs di Roma un congresso, ‘Il frumento. Produzione, preparazione e consumo consapevole per il benessere intestinale’, mette per la prima volta intorno allo stesso tavolo clinici (gastroenterologi, allergologi, nutrizionisti), agrari e produttori per discutere delle possibili cause di questa epidemia di intolleranza al glutine.
“Stiamo assistendo a livello mondiale – spiega Giovanni Cammarota, direttore della Unità Operativa complessa di Gastroenterologia del Gemelli e associato di Gastroenterologia della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, co-presidente del congresso insieme a Stefania Masci, genetista agraria dell’università della Tuscia, vice presidente della Società di Genetica Agraria, e Antonio Gasbarrini, direttore della Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia del Gemelli – a un’esplosione del marketing dei prodotti ‘gluten-free’, legata a una vera e propria ‘epidemia’ di intolleranza al glutine”.
“Ma quanto c’è di ‘moda’ o di suggestione e quanto di solida realtà scientifica? “Le patologie conosciute legate al frumento (celiachia, gluten-sensitivity, allergia al frumento) – afferma Cammarota – hanno una prevalenza che va dall’1 al 5%. Ma accanto a questo, si stima che a livello globale non meno del 10-15% delle persone si auto-diagnostichi una ‘intolleranza al glutine’ (in Italia il 12%) e quindi auto-escluda il glutine dalla propria dieta. E questo riguarda soprattutto i millennial e la generazione Z (fino al 15% di autodiagnosi), mentre nei baby boomer il fenomeno si attesta al 4%”.
Una possibile spiegazione di questo boom di intolleranza al glutine potrebbe essere legata all’industrializzazione della produzione del frumento. “I meccanismi che possono indurre sensibilità al glutine- spiega Cammarota – sono ben conosciuti; ma bisogna prendere in considerazione anche tante altre proteine contenute nel frumento, in grado di indurre una sensibilizzazione. Grande interesse è appuntato al momento sui cosiddetti ‘fattori anti-nutrizionali’ (Anf) del frumento, quali fitati, tannini, amylase/trypsin inhibitors (Atis) e tanti altri”.
“Queste proteine hanno la funzione specifica di proteggere del frumento dai suoi nemici naturali, ma allo stesso tempo possono rallentare la digestione delle proteine, dei carboidrati e delle molecole presenti nel frumento stesso, oltre che interferire con l’assorbimento di biomolecole (ad esempio ferro e zinco), riducendone la biodisponibilità. Una modalità per neutralizzare questi anti-nutrizionali – aggiunge Cammarota – potrebbe essere ad esempio quella di prolungare i tempi di fermentazione del frumento, a temperatura controllata. Ma un aumento eccessivo della domanda, può portare ad una minore attenzione alla processazione del frumento; in questo caso questi anti-nutrizionali non vengono neutralizzati e possono provocare una cattiva digestione, ma anche innescare meccanismi infiammatori e di immunità innata nell’organismo”. In altre parole, una domanda eccessiva da parte del mercato, può portare a una scarsa qualità della processazione del frumento. E questo potrebbe essere alla base dell’esplosione della cosiddetta ‘gluten sensitivity’, più che il glutine di per sé”.
“Ecco perché – conclude Cammarota – è così importante mettere insieme agrari e clinici (gastroenteologi, nutrizionisti, allergologi, ecc) per far convergere le diverse linee di ricerca su questo obiettivo e studiare la stessa problematica da punti di vista diversi”.
“Sarebbe importante avere un dialogo continuo con la produzione – afferma Cammarota – per cercare di variare la tipologia di frumento e di glutine e fare dei trial clinici controllati per capire se una certa lavorazione provochi o meno la comparsa dei sintomi. Questa ondata di ‘sensibilità’ però, come ricordato, potrebbe non essere imputabile alla genetica del frumento (non sarebbe cioè una questione di grani ‘antichi’ o di grani ‘moderni’), quanto piuttosto alle moderne tecniche di produzione e di processamento. Interessante sarebbe anche andare a variare la tipologia del glutine all’interno del frumento, per individuare quello più immunogenico e in grado di stimolare la sensibilità. C’è insomma glutine e glutine, sia in termini di quantità che di qualità”.
“Il frumento (o grano) è un cereale molto antico, una tra le prime piante utilizzate dall’uomo in campo alimentare e ancora oggi il cereale alla base della nostra dieta mediterranea – ricordano gli esperti del Gemelli – E’ fonte di circa metà delle calorie alimentari consumate in tutto il mondo ed è ricco di proteine, fibre, vitamine, minerali e antiossidanti. Più recentemente l’uso industriale di pesticidi, fertilizzanti a base di azoto, unitamente al miglioramento genetico, hanno permesso di aumentare la produttività del grano e di ottenere un glutine idoneo alla realizzazione di numerosi prodotti, alcuni dei quali caratterizzanti le zone geografiche di produzione”.
“La produzione sostenibile, con scarso apporto di sostanze chimiche, unitamente a progetti di espansione e utilizzazione della variabilità genetica del frumento, associati al mantenimento di una elevata qualità tecnologica e nutrizionale, sono quindi i principali target di interesse per il miglioramento del grano ai fini dell’uso alimentare umano”, concludono gli esperti.