(Adnkronos) – Nel contesto delle malattie rare “manca una letteratura sulle specificità psicosociali della donna: abbiamo trovato 150 paper, e di questi appena 12 erano centrati sulle tematiche di nostro interesse: solo il 3% di quanto pubblicato negli ultimi 10 anni è su aspetti psicosociali e antropologici”. Lo ha detto Guendalina Graffigna, professore di Psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e direttore del Centro di ricerca EngageMinds Hub, intervenendo questa mattina a Milano all’evento per il lancio del progetto ‘Women in rare’ di Alexion dedicato alla centralità della donna nell’universo delle malattie rare.
“La donna non è solo portatrice di una malattia rara, ma nel 70% è la caregiver di un paziente in età pediatrica”, ha ricordato la professoressa presentando l’indagine ‘Progetto Donna’ da lei coordinata per il progetto Women in rare. Il lavoro, realizzato da EngageMinds Hub dell’Università Cattolica di Milano, evidenzia che la percezione della propria immagine, la gestione della malattia, l’accesso alle cure, la fertilità, l’appartenenza a minoranze culturali e la conciliazione del ruolo di lavoratrice con quello di caregiver rappresentano le aree di maggiore difficoltà nella gestione delle patologie rare per le donne.
“Per le donne che soffrono di patologie rare – ricorda Graffigna – l’immagine corporea può diventare una fonte di preoccupazione e di depressione a causa degli effetti fisici che le loro condizioni possono determinare. Non solo, la scarsa sensibilizzazione sulle malattie rare e la mancanza di conoscenza possono portare le donne a sperimentare lo stigma sociale e a sentirsi giudicate e discriminate. Le patologie rare presentano inoltre un impatto significativo sulla gestione della vita quotidiana delle donne che ne sono affette. Il non sapere quando e quali sintomi si presenteranno – continua l’esperto – non permette di organizzare la giornata, fare progetti e, più in generale, gestire gli impegni quotidiani e familiari. Riferiscono infatti di sentirsi sempre stanche, di non riuscire a fare la spesa, occuparsi della casa”.
Un ulteriore aspetto riguarda la fertilità. “ Diverse analisi – precisa Graffigna – sottolineano difficoltà nell’elaborazione dei sentimenti legati all’infertilità associate a molte malattie rare. Questo può contribuire a vissuti di ansia, depressione e isolamento. Infine, un altro aspetto emerso dalla ricerca riguarda l’appartenenza ad una minoranza culturale. Questa caratteristica costituisce un’ulteriore complessità di cui tenere conto perché, oltre alle iniquità legate al genere, la gestione della patologia rara può essere compromessa da vulnerabilità legate a stereotipi culturali, barriere linguistiche e differenti concezioni della salute”.
Ci sono poi delle questioni culturali da considerare. “Spesso le donne non si legittimano a chiedere un aiuto ad amici, aprenti, associazioni – sottolinea la professoressa – La donna ha interiorizzato modelli per cui si sente in colpa nel dichiarare di avere necessità di aiuto. Sono donne che, se non riescono a fare le equilibriste, si colpevolizzano”. Per cambiare la situazione “c’è uno strumento da usare, molto semplice – riflette Graffigna – dare voce alle donne, accettare che è normale avere desiderio di avere dei bisogni sanitari, psicologici, scoiali, lasciare il figlio per qualche ora, avere uno spazio per sè. Questo progetto vuole alzare un dito per aiutare l’opinione pubblica, nell’ambiente di lavoro, poter legittimare queste differenze, trasformare le reti di supporto”.
Qualcosa sta cambiando. “Un dato che ci ha colpito è che dei 150 paper iniziali di letteratura con attenzione al genere nelle malattie rare, il 30% era degli Usa, ma subito dopo c’era l’Italia con il 10-15% – conclude Graffigna -. Si sta portando avanti una riflessione sulle malattie rare, sono riflessioni più legate alla diagnostica e all’impatto della terapia, c’è un passo in più da fare per gli aspetti psicologici e lavorativi. Dopo le pubblicazioni, speriamo ci siano dei progetti specifici”.