(Adnkronos) – “Questa perizia è una mappa logica”, “con l’obiettivo di ricostruire i fatti. Non è un atto d’accusa. E’ un tentativo di restituire agli italiani una parte di verità su come si sono svolti i fatti” nei primi giorni di pandemia Covid in una delle aree più duramente colpite, “come sono state prese determinate decisioni e perché sono state prese determinate decisioni”. Così all’Adnkronos Salute il microbiologo e senatore Pd Andrea Crisanti, dopo la chiusura dell’inchiesta di Bergamo che ha portato a 17 indagati. “Se poi in qualche modo qualcosa costituisce un elemento che ha una valenza di carattere amministrativo o penale, non sta certo a me stabilirlo: è compito dei giudici sottolinea – Io nella perizia ho sempre cercato di dare la risposta più asettica e scientifica possibile a quelli che erano i quesiti che mi ha posto la procura”.
Sulla stampa sono circolate alcune indiscrezioni sui contenuti della maxi consulenza che lo scienziato ha scritto per la procura bergamasca. Ma a proposito in particolare del modello sui morti e sul possibile impatto della mancata zona rossa, Crisanti puntualizza: “Questa è un’ovvietà. E’ chiaro che prima si chiude e più si risparmiano vittime. Il problema era se in quel momento le persone che avevano le responsabilità avevano le conoscenze e gli strumenti per prendere quella decisione ed erano consapevoli di quello che facevano e dei rischi. E’ una cosa completamente diversa. Perché è chiaro: prima chiudi, più vite risparmi. Ma le persone che avevano il potere di chiudere avevano tutte le informazioni? Erano coscienti dei rischi? Che responsabilità si sono prese, consapevoli o inconsapevoli? Ecco, questo è il problema”.
Ma “questa – incalza Crisanti- è una valutazione che spetta ai giudici, non a me. E non è una valutazione contenuta dentro la consulenza. Io dentro la consulenza ho ricostruito puntualmente quello che era il contesto normativo, il contesto epidemiologico. Poi, i giudici mi hanno chiesto se era possibile in qualche modo quantificare quelle che potevano essere le conseguenze di determinate scelte. E questo ho fatto, né più né meno”. Il pensiero dello scienziato va anche ai familiari delle vittime: “Io, rispetto a queste persone, posso assicurare che il mandato che mi aveva dato la procura era quello di dare un contributo per ricostruire la verità, e ho lavorato 18 mesi. Diciotto mesi in cui questo lavoro ha assorbito praticamente quasi ogni istante della mia vita. Penso di aver dato il massimo che potevo dare, in termini di dedizione e in termini di competenze professionali. L’ho fatto con questo spirito”.