(Adnkronos) – Il virus dell’influenza 2023-2024 è già arrivato in Italia ma come sarà questa nuova stagionale influenzale? A tracciare all’Adnkronos Salute lo scenario a cui dobbiamo prepararci è l’epidemiologo Giovanni Rezza, ex direttore generale Prevenzione del ministero della Salute. “In Australia”, che ci precede sulla via dell’inverno, “non è stata particolarmente intensa. E visto che l’anno scorso abbiamo avuto un’attività influenzale piuttosto elevata, è possibile che quest’anno non raggiungiamo i livelli della stagione 2022-2023. Ma è impossibile – chiarisce Rezza – prevedere con precisione l’impatto. Certo quest’anno potremo avere una co-circolazione Covid-influenza”.
E’ di ieri la notizia che il 26 settembre a Parma è stato identificato il “primo caso di influenza (di tipo A)”, come comunicato dall’università cittadina, su un lattante di 4 mesi ricoverato nella Clinica pediatrica dell’ateneo per febbre e inappetenza con un quadro clinico di bronchite asmatica. “Chi cerca trova. Anche quando i casi di influenza sono pochi e sporadici, se il virus viene cercato si può identificare pure se c’è una bassa circolazione. Lo abbiamo visto nell’anno della pandemia, quando si facevano i test durante il periodo estivo, che i virus influenzali stagionali a bassa intensità circolavano, li si trovava molto raramente anche in estate”.
“Il fatto che si sia identificato – sottolinea – può voler dire che in alcune zone del Paese l’influenza comincia a circolare un po’ in anticipo, ma può voler dire anche che, siccome il virus viene accuratamente ricercato in quelle zone, viene trovato – ragiona Rezza – Difficile dirlo, ci può essere il dubbio. E’ chiaro che questo è un segnale che il virus è presente a bassa intensità. Nel senso che si tratta dei primi casi sporadici che vengono identificati”.
Come tutti gli anni, aggiunge l’esperto, “conviene che soprattutto le persone anziane e le persone fragili si vaccinino. Adesso c’è questa coincidenza per cui le persone a rischio di malattia influenzale più grave sono le stesse che rischiano di sviluppare Covid più grave – quindi anziani, persone vulnerabili, fragili – e conviene che queste persone facciano entrambe le vaccinazioni. Si possono fare anche nella stessa seduta, ma se si vuole distanziare è possibile anche questo. Ed è chiaro anche che, se una persona vuole evitarsi l’influenza, può prendere il vaccino in farmacia e farlo, pur non rientrando nelle categorie a rischio per cui è raccomandata. Ci possono essere diversi buoni motivi per cui un 40-50enne sano può volersi vaccinarsi: evitare le assenze dal lavoro, non rovinarsi le vacanze, la settimana bianca”. Quando vaccinarsi? “La campagna vaccinale contro l’influenza inizia a ottobre” e quella per il Covid “sembra essere un po’ anticipata – osserva Rezza – Magari al Nord si parte un po’ prima, perché anche la stagione influenzale generalmente inizia un po’ prima che al Sud. Intorno a metà ottobre comunque le campagne saranno state avviate” su tutto il territorio nazionale “e tutto il mese di novembre è un mese buono” per aderire se si rientra nei gruppi destinatari dell’offerta.
“Come ogni anno – prosegue l’esperto – con l’avanzare dell’autunno generalmente il virus influenzale comincia a circolare più rapidamente. L’anno scorso il picco è stato un po’ anticipato, lo abbiamo avuto a metà dicembre, prima di Natale addirittura, mentre in genere è fra dicembre e gennaio, certe volte tra gennaio e febbraio. C’è una certa variabilità anche se il comportamento del virus influenzale è quello – ragiona l’epidemiologo – Adesso si sta ancora abbastanza all’aria aperta e si frequentano meno i locali chiusi, ma con l’avanzare della stagione avremo una circolazione maggiore. E quest’anno ci aspetta una possibile co-circolazione di virus influenzali e di Covid. Sars-CoV-2 infatti continua ad essere presente, anche se sta dando delle ondate minori. I due virus possono coesistere tranquillamente e questo può comportare un impegno maggiore di medici di famiglia e pediatri, magari anche a livello ospedaliero. Ma speriamo che le ondate siano poco intense”.
Quanto alla sorveglianza, continua Rezza, “non so se verrà anticipata. C’era un’idea anche di abbinare la sorveglianza di influenza, Covid e virus respiratorio sinciziale per fare una sorveglianza più complessiva dei virus respiratori. Io l’auspicherei, è importante farla, avere un quadro della situazione”. Tornando a quello che ci si deve aspettare nei prossimi mesi, “se in Australia la stagione non è sembrata particolarmente preoccupante, va ricordato che il virus dell’influenza tende a mutare e quindi quello che vedremo dipende anche dalla possibilità che faccia ulteriori piccole mutazioni. Ma l’anno scorso la stagione è stata intensa e potremmo non raggiungere gli stessi numeri. Poi dipende anche da quello che è il ‘match’ fra vaccino e virus, perché quando il vaccino è molto simile al virus circolante la protezione vaccinale è più alta e un’alta copertura favorisce una minore circolazione virale. Ci sono dunque diversi fattori in gioco”.
“Non possiamo prevedere il futuro e nessuno può dire con certezza e precisione quanti saranno i casi di influenza e di Covid durante la stagione autunno-inverno, perché ad oggi non c’è un modello matematico che lo consente. Il punto è che la pandemia è passata, la gente è stanca e si usano molte meno precauzioni rispetto a quelle che si usavano negli ultimi anni. Questo può comportare una circolazione virale maggiore. Nessuno in questo momento si sentirebbe di ricorrere più a obblighi, questo non c’è dubbio. Ma è chiaro che se si va in un luogo particolamente affollato, specie se si è una persona a rischio, si può indossare la mascherina. Credo che sia semplicemente buonsenso e non dovrebbe essere terreno di guerre ideologiche”, è la visione di Rezza.
“Credo che non faccia piacere a nessuno ammalarsi – osserva – quindi se chi è a rischio va in un mezzo di trasporto o in un luogo affollato, perché non cercare di proteggersi? Se una persona fragile o anziana vuole adottare delle precauzioni credo sia un suo diritto, ma anche che faccia bene a farlo. Lo stesso vale per chi, a prescindere dal proprio stato di fragilità, voglia diminuire il rischio di contrarre l’infezione. In Estremo Oriente c’è un uso volontario delle mascherine piuttosto diffuso, indipendentemente dalla fragilità. E loro hanno reagito meglio dell’Europa alla pandemia. Certe buone abitudini igieniche perché perderle? Abbiamo imparato qualcosa, non buttiamolo all’aria. Nessuno vuole parlare di obblighi o fare l’allarmista – precisa Rezza – è semplicemente buonsenso”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il virologo Fabrizio Pregliasco: “Credo che gli elementi per una nuova normalità” post pandemia “siano la vaccinazione per i fragili di tutte le età, oltre che per gli anziani, ma anche la buona pratica di fare il tampone nelle persone fragili per le quali, in caso di positività, può servire la terapia antivirale. E, ancora, un uso ragionato delle misure non farmacologiche, misure di attenzione come l’uso della mascherina in caso di sintomi per proteggere gli altri, e ovviamente un approccio sempre più consapevole all’automedicazionee responsabile”, dice. “Spero che la paura possa incanalarsi nel modo giusto in una responsabilizzazione maggiore rispetto al passato – riflette l’esperto – Ci sono stati minimizzatori e negazionisti, da un lato, e dall’altro persone che si sono spaventate e che lo sono ancora. Ma entrambi sono estremi scorretti. Basta ricordare che c’è Covid, e l’influenza e altri virus respiratori. E che la mascherina in situazioni particolari, senza contrapposizioni ideologiche, può servire, se andiamo a trovare la nonna o la persona più fragile con rischi maggiori”.
La vaccinazione antinfluenzale, poi, “è un’opportunità per tutti, ma una raccomandazione forte per i fragili”, ribadisce Pregliasco. “Nella stessa seduta si può fare anche l’anti-Covid per le categorie” nelle quali le raccomandazioni si sovrappongono. “L’obiettivo continua a essere raggiungere una copertura in fasce come quella degli over 65 pari al 75%. Ma purtroppo siamo a valore più bassi, che sono arrivati al massimo al 62-63% nella prima stagione di Covid (quando ancora non c’era il vaccino per Sars-CoV-2) e che ora stanno di nuovo degradando e tornando sui livelli ancora più bassi intorno al 50%”.
Quello che è certo è che “come ogni anno, come le tasse, l’influenza arriverà”, dice Pregliasco. “I primi isolamenti sporadici evidenziano la presenza dei virus a cui mira il vaccino. In particolare il virus A/H1N1. Considerando quanto accaduto nell’emisfero australe, dobbiamo aspettarci una stagione invernale di media intensità per quanto riguarda i virus influenzali. Potrebbe voler dire una stima di 5-6 milioni di casi che potremmo avere in Italia, a cui si aggiungeranno quei 10 milioni di forme simil influenzali e purtroppo una presenza anche del Covid”, sottolinea il ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano.
Cosa succede quando febbre e raffreddore irrompono nella coppia? Un’indagine accende una luce sull’intimità della malattia respiratoria vissuta dall’uomo e dalla donna. Ed emerge che lui più spesso si precipita a letto e riposa (11,9% contro 7%), lei resta a casa ma corre ai ripari con automedicazione e rimedi ‘saggi’ (58,6% contro 38,8%). Il medico di famiglia? Si chiama solo se non ci sono miglioramenti, risponde lei in quasi 6 casi su 10. Mentre lui in misura maggiore preferisce far scattare subito la telefonata (21,9% contro 17,2%). Sulle scelte terapeutiche i maschi inciampano di più: oltre il doppio (5,2% contro 2,3%) rispetto alle donne, di fronte a comuni infezioni respiratorie virali e all’influenza prenderebbe erroneamente subito un antibiotico, perché “passa prima”. Il ritratto emerge da una ricerca condotta da Human Highway per Assosalute (Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica) e tocca annose differenze di genere su cui si dibatte da sempre.
E’ ormai una convinzione diffusa, spunto per battute e facili ironie: se un uomo incappa nell’influenza, non appena il termometro segna qualche linea di febbre, finisce Ko, steso sotto strati di coperte. I principali dizionari d’inglese hanno persino una voce ad hoc: ‘man flu’, intesa come “una malattia simile a un raffreddore che non è grave ma che la persona che ne è affetta considera più grave, e di solito questa persona è un uomo”, si legge per esempio su quello di Cambridge. La scienza ha indagato, approdando a conclusioni talvolta contrastanti.
Quello che colpisce Pregliasco è in particolare lo scivolone sull’antibiotico: “C’è uno ‘zoccolo duro’ di persone, soprattutto fra i maschi, che usano un ‘cannone’ terapeutico quando non serve”, riflette chiamando in causa anche “tutte le problematiche dell’antibioticoresistenza” correlate a questo uso improprio. “Le vaccinazioni – osserva – possono ridurre anche questo ricorso inappropriato all’antibiotico, perché riducono il problema dei sintomi e il rischio di sovraprescrizioni mediche”, magari in risposta a richieste accorate di pazienti che accusano pesantemente il colpo dell’influenza.
Dall’indagine si scopre che, se la febbre è molto alta, ancora una volta quasi il doppio dei maschi rispetto alle femmine correrebbe in pronto soccorso (4,4% contro 2,3%). L’uomo vince in praticità: meglio vaccinarsi, così certamente non ci si ammala, è la scelta indicata da un numero ben più elevato di intervistati maschi (9,8% contro 5,9%). Le donne sono più sostenitrici del ricorso ai farmaci di automedicazione: il 58,6% (20 punti percentuali più degli uomini) ritiene che le cose più sagge siano riposo, farmaci da banco e contatto del medico solo se non ci sono miglioramenti. Gli uomini tendono a “comportamenti meno consapevoli e autonomi, se non avventati oppure noncuranti”: sono loro che in misura maggiore – 4,6% contro 3,2% – continuerebbero con la vita di sempre (lavoro, vita sociale, sport) senza far nulla. Un mondo quello maschile pieno di contrasti, dunque.
Ma il brodo di pollo e il latte caldo mettono tutti d’accordo, appianando ogni gap di genere. Entrambi i sessi, infatti, nella stessa misura scelgono ‘l’aiuto dalla tavola’, cioè un cambio di alimentazione aumentando liquidi e vitamine. Cosa dice la scienza sulle differenze uomo-donna di fronte all’influenza? Lo studio più recente, a fine 2022, è un lavoro austriaco che ha concluso che non ci sono evidenze a supporto di una definizione di ‘influenza maschile’, perché dai dati raccolti le donne hanno riportato un carico di sintomi soggettivi di rinosinusite acuta più elevato. Ma allo stesso tempo gli autori segnalavano che le donne si erano riprese più velocemente rispetto agli uomini. Un dato, questo, confermato anche da un sondaggio, dal quale era emerso che gli uomini impiegano in media 3 giorni a riprendersi da malattie simil-influenzali rispetto a 1,5 giorni delle donne.
In passato, però, le prove dell’esistenza di una diversa sindrome per lui, che giustificasse tale maggiore ‘abbattimento fisico’, erano state trovate e portate all’attenzione del grande pubblico. L’assoluzione era in uno studio pubblicato sul ‘British Medical Journal’. L’influenza maschile esiste davvero, era il messaggio. L’autore, un ricercatore di un ateneo canadese, aveva passato in rassegna ricerche precedenti sul tema e concluso che i virus stagionali colpiscono lui più di lei, con sintomi più gravi per via di una risposta immunitaria più debole a questo tipo di attacchi da parte dell’organismo maschile. Alcuni dei lavori esaminati in questa revisione, condotti sui topi, suggerivano anche il meccanismo: il testosterone – secondo l’ipotesi avanzata – potrebbe ‘smorzare’ la risposta immunitaria all’influenza, mentre alcuni ormoni sessuali femminili potrebbero potenziarla. Attenzione quindi a considerare gli uomini influenzati dei ‘malati immaginari’.