(Adnkronos) – Il 53,3% dei pazienti in dialisi manifesta un tipo di prurito differente da quello cutaneo ‘comune’: è il prurito correlato a insufficienza renale cronica, sistemico, grave, continuo, che impatta pesantemente sulla qualità di vita delle persone che ne sono affette. Le zone del corpo maggiormente colpite sono la schiena e le gambe, creando uno stato di sofferenza cronica con gravi ricadute anche a livello di stress e di disagio psicologico. È quanto emerso oggi nel corso di un evento divulgativo, a Roma, che ha visto confrontarsi clinici, associazioni di pazienti, infermieri e farmaco-economisti. Durante l’incontro – reso possibile grazie al contributo non condizionante di CSL Vifor – sono stati presentati i risultati di tre survey che hanno coinvolto nefrologi, pazienti e infermieri.
In particolare, la Società italiana di nefrologia (Sin) ha sottoposto ai nefrologi di 116 centri (di cui la metà con oltre 100 pazienti in dialisi), un questionario sul prurito correlato all’insufficienza renale cronica – riferisce una nota – da cui risulta che l’87% dei nefrologi non utilizza strumenti di valutazione per il prurito, e di conseguenza non è in grado di poter maturare una corretta diagnosi. Non solo, poiché non è previsto uno screening routinario per il prurito correlato all’insufficienza renale cronica, in quasi il 50% dei casi i nefrologi intervengono solo se il paziente riferisce il sintomo. Invece, per quanto riguarda l’approccio farmacologico, l’80% dei nefrologi ricorre all’utilizzo di farmaci senza che ci sia uniformità nella gestione (si va dalle creme emollienti per ridurre la secchezza cutanea, ai cortisonici orali, alle gabapentine) mentre l’85% dei nefrologi ritiene necessario un nuovo trattamento per il prurito in dialisi, data l’assenza di farmaci con indicazione specifica.
“Il prurito rappresenta nei pazienti in dialisi uno dei sintomi che maggiormente impatta sulla qualità di vita – afferma il presidente Sin Stefano Bianchi – e, quando di grado moderato-severo, ha pesanti ripercussioni sui rapporti interpersonali, lavorativi e sociali di questi pazienti. Noto fin dagli albori della dialisi e resistente alla maggior parte degli interventi terapeutici messi in atto per cercare almeno di attenuarlo, questo sintomo è stato spesso ritenuto una inevitabile conseguenza del trattamento dialitico. La recente prospettiva di poter disporre di una nuova efficace e tollerata terapia del prurito ha dato nuova forza ai nefrologi e soprattutto ai pazienti per affrontare con forte determinazione questo importante problema, mettendo in atto programmi di sensibilizzazione, formazione e comunicazione sulle nuove prospettive terapeutiche che a breve saranno disponibili”.
L’indagine ha coinvolto anche i pazienti attraverso un questionario realizzato e distribuito dall’Associazione nazionale emodializzati (Aned) in 153 Centri di dialisi italiani, pubblici e privati. Sono state raccolte 1.905 risposte: il 53,3% dei pazienti in trattamento dialitico cronico ha riferito prurito segnalandolo come un sintomo continuo, intenso e impattante sulla qualità di vita; nel 40% dei pazienti il prurito influenza in maniera importante la vita quotidiana, limitando fortemente le relazioni con gli altri. Dai pazienti emerge sconforto e rassegnazione nei riguardi del prurito: il 75% pensa che sia legato alla dialisi e che non esista alcun tipo di possibile soluzione; il 17% riferisce che il medico ha comunicato che è stato fatto tutto il possibile alla luce delle attuali conoscenze mediche; il 78% dei pazienti richiede un maggiore impegno nella ricerca riguardo alle cause e ai rimedi che possano consentire di trattare il prurito efficacemente. Non solo: per metà dei pazienti il prurito diventa particolarmente fastidioso di notte.
“Il 50% dei pazienti – commenta Antonio Santoro, del Comitato scientifico Aned – ci ha risposto che il prurito ha cambiato profondamente la loro qualità di vita. In particolare, il 30% dei pazienti con maggiore gravità del sintomo, riferisce che il prurito ha compromesso vita sociale, lavoro, e affetti”. “L’impatto negativo sulla qualità della vita – riferisce Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria e Microeconomia, Università di Roma Tor Vergata e presidente della Società italiana di health technology assessment (Sihta) – si traduce, dal punto di vista dei costi, in una perdita di produttività (dei pazienti e dei caregiver), in un incremento dei costi a carico del sistema previdenziale e sociale quale conseguenza delle disabilità correlate alla malattia nonché dei costi sanitari a carico diretto dei pazienti e dei caregiver. Non solo, comunque, costi indiretti, ma anche costi diretti sanitari. Questi pazienti, infatti, sono costretti a ricorrere a farmaci che vanno a ridurre il problema psicologico conseguente la condizione morbosa che li caratterizza, andando a incrementare una voce di spesa a carico del Ssn”.
Infine, Alessandro Pizzo, vicepresidente Società italiana infermieri area nefrologica (Sina) non ha dubbi: “il rapporto con il paziente può migliorare utilizzando un linguaggio comune, semplice, chiaro, empatico e al tempo stesso scientificamente coerente. Migliorando la qualità delle relazioni tra le persone affette da malattia renale cronica, i professionisti della salute e i loro caregiver, proprio a partire dalla parola, elemento chiave della relazione di cura, possono contribuire a creare un rapporto di assoluta fiducia per favorire un’efficace alleanza terapeutica”.