(Adnkronos) – Le iniezioni intravitreali, impiegate nella cura delle maculopatie, escono dalla sala operatoria: verranno somministrate nell’ambulatorio chirurgico dedicato, il primo in Italia, alla Clinica oculistica dell’ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia. Che potrà così somministrarne 5mila all’anno garantendo altissimi livelli di sicurezza, aumentando la possibilità di accesso alle cure, riducendo i tempi di attesa e assicurando continuità assistenziale lungo tutto il percorso terapeutico. “Negli ultimi anni abbiamo osservato un costante aumento del numero di iniezioni intravitreali effettuate, pari a circa il 20% annuo – afferma Carlo Cagini, direttore della clinica perugina – questo ci ha costretto a un confronto periodico con la Direzione sanitaria, per poter garantire un trattamento adeguato a tutti i pazienti”.
Tra le maculopatie, la degenerazione maculare legata all’età (Dmle) è la prima causa di perdita della vista nei Paesi industrializzati a livello globale. In Italia si calcola che interessi più di 500 mila persone ne siano affette e ogni anno si registrano circa 50mila nuovi casi. Il trattamento delle maculopatie – spiega una nota – è sensibilmente migliorato negli ultimi anni, con l’introduzione dei farmaci anti-Vegf (somministrati tramite iniezioni intravitreali), che si sono dimostrati efficaci nello stabilizzare o perfino migliorare l’acuità visiva, oltre che la qualità di vita dei pazienti. Questo approccio ha portato significativi miglioramenti alla prognosi visiva di moltissimi pazienti, ma il gran numero di trattamenti effettuati, ha costretto i servizi di oculistica ad attuare una profonda riorganizzazione delle prestazioni offerte.
Le normative che regolano la somministrazione delle iniezioni intravitreali differiscono a seconda dei Paesi dove vengono praticate. In Italia il limite era rappresentato dal fatto che l’unico ambiente autorizzato per questo tipo di procedura fosse la sala operatoria. Ambiente ingombrante, dispendioso, il cui utilizzo intensivo ostacola l’accesso dei pazienti che devono essere sottoposti ad altri interventi di vera e propria chirurgia oculare (cataratta, trapianti, distacchi di retina…). La pandemia di Covid-19 ha determinato un’ulteriore riduzione della disponibilità di somministrazione in sala operatoria, evidenziando ulteriormente il problema. Per far fronte a tale richiesta terapeutica, essendo le procedure intravitreali terapie non elettive, la Soi (Società Oftalmologica italiana) ha aperto alla possibilità di effettuare le somministrazioni in ambulatori chirurgici.
“Era necessario uscire dalla sala operatoria – spiega Cagini – creando delle clean room (come avviene già nei Paesi del mondo anglosassone per questo tipo di interventi a bassa complessità), ossia dei semplici ambulatori che possono essere equipaggiati con cappe a ‘flusso laminare’ in modo da consentire il lavoro in condizioni di sicurezza”. Il principio quindi è quello di “garantire il rispetto dei tempi terapeutici, mantenendo al contempo massimi livelli di sicurezza. Il nostro ambulatorio chirurgico – aggiunge – è dotato, infatti, di un generatore a flusso laminare focalizzato, in grado di eliminare il 99.9% dei batteri e dei microrganismi aerodispersi all’interno dell’ambulatorio stesso, creando un ambiente non inferiore, in termini di sicurezza, a quello della sala operatoria”.
“Il nuovo percorso ambulatoriale ha aumentato il comfort dei pazienti – dichiara Giuseppe De Filippis, direttore generale dell’ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia – Questo iter ha numerosi vantaggi. Innanzi tutto, l’accesso al trattamento è molto più rapido, perché la preparazione del paziente è più semplice, così come l’accesso agli ambulatori, evitando tempi di sosta in ospedale non necessari. Inoltre, le sale operatorie vengono rese disponibili per chirurgie più complesse e anche il personale sanitario può essere destinato a interventi di altro tipo. Un’equipe multiprofessionale integrata – continua De Filippis – accompagna, quindi, il paziente dalla visita pre-operatoria al follow-up, passando per la somministrazione del farmaco, con visite programmate in cui il paziente viene rivalutato, sia attraverso studi funzionali, che morfologici, per evidenziare le variazioni del quadro clinico a seguito delle iniezioni terapeutiche. Tutto questo – conclude – rientra nel concetto della ‘one stop clinic’: un’unica struttura sanitaria, che gestisce in toto la patologia del paziente garantendo continuità assistenziale”.