(Adnkronos) – “La granulomatosi eosinofila con poliangioite (Egpa) è una patologia cronica ad eziologia autoimmune che ad oggi ha dati di incidenza e prevalenza compatibili con una malattia rara, ma probabilmente nella popolazione generale è più frequente di quanto sappiamo. A causa delle diverse manifestazioni dell’Egpa e della complessità della patologia stessa, i pazienti devono essere seguiti presso centri specialistici con un approccio multidisciplinare”. Così Roberto Padoan, specialista in Reumatologia e responsabile del Centro vasculiti dell’Unità operativa complessa di Reumatologia presso l’Azienda ospedaliera di Padova, a margine della seconda delle quattro giornate di Eular 2023, il Congresso europeo della reumatologia, organizzazione che riunisce tutte le società europee di reumatologia, finalizzata a ricerca, prevenzione, terapia e riabilitazione delle patologie reumatiche, in svolgimento a Milano dal 31 maggio al 3 giugno 2023.
“È una malattia cronica e può dare manifestazioni anche molto severe al suo esordio, coinvolgendo organi vitali come il cuore, i nervi, l’intestino, i reni. Nel tempo può perdurare e se non trattata adeguatamente può provocare anche problematiche di tipo respiratorio. Ad oggi lo standard of care – prosegue l’esperto – prevede l’associazione, fin dalle prime fasi, di corticosteroidi (inizialmente ad alte dosi) e di farmaci immunosoppressori. Per le forme più severe di malattia è necessario utilizzare farmaci come rituximab e la ciclofosfamide, mentre per le forme meno severe possono essere utilizzati gli immunosoppressori convenzionali, oppure farmaci più nuovi e specifici, che hanno come target l’eosinofilo, una delle cellule maggiormente coinvolte nella patogenesi di questa malattia”.
“Così facendo è possibile controllare adeguatamente i sintomi – spiega Padoan – Questi farmaci di nuova generazione potrebbero aiutare a risolvere quello che è ad oggi il problema principale nel trattamento della granulomatosi eosinofila con poliangioite: abbiamo infatti la necessità di riuscire a ridurre al minimo indispensabile la dose di cortisone, che purtroppo rappresenta uno dei maggiori problemi per quanto riguarda l’accumulo di danno di questi pazienti e il numero di effetti collaterali che possono verificarsi nel corso degli anni”, conclude.