(Adnkronos) – “Lo dico sempre: fumare cannabis non fa bene. Io e mia mamma non sponsorizziamo droghe. Qui non si parla degli oli che compri nei negozietti, ma di prescrizioni mediche. La battaglia che facciamo è per far sì che le persone siano informate sulla cannabis medica, e sappiano che non ha nulla a che vedere con le droghe”. Vuole mettere le cose in chiaro Naike Rivelli. L’attrice e cantante spiega all’Adnkronos Salute di avere, insieme alla madre Ornella Muti, “un messaggio per gli italiani”, un messaggio “di informazione. Vorrei che tutti sapessero che ci sono malattie e disturbi che possono essere alleviati” con la cannabis terapeutica.
“Per esempio il dolore cronico, l’anoressia in malattie come il tumore, l’anoressia nervosa, il glaucoma”, ma anche – secondo i medici – la nausea e il vomito da chemio, alcune sindromi da alterato movimento. “Persino mia nonna avrebbe potuto beneficiarne se avessimo avuto tempestive e adeguate informazioni”, si rammarica Naike. E’ con questo obiettivo, dice, che lei e la mamma sono scese in campo. D’altronde, questo vuoto di informazione lo ha sperimentato sulla sua pelle: “Cinque anni fa ho iniziato una menopausa precoce importante – racconta – Ero preda delle vampate, perdevo quasi un kg a notte, non dormivo. Tutto questo mi ha creato una forte ansia e mi sono anche venute delle gastriti croniche. Ho provato varie vie, ho provato gli ormoni. Ma gli estrogeni a tante donne non tolgono tutti i fastidi correlati a questa condizione, anzi magari fanno venire ritenzione e danno altre controindicazioni”.
Un giorno, prosegue, “dal dentista incontro un signore che mi racconta di essere in cura con cannabis terapeutica per alcuni disturbi. La inala con un vaporizzatore. Io non sapevo nulla di tutto questo. Ed è importantissimo da spiegare: fumare lo spinello fa male. E brucia le parti mediche della cannabis”. Il punto per Naike e mamma Ornella è che “le persone devono sapere che la cannabis medica ha modalità differenti di somministrazione: si ingerisce, si usa in versione gel per via cutanea, si inala. Nessuno si fa ‘le canne’. E’ cosi che te la prescrivono nei centri medici”.
Per alcune patologie, continua Rivelli, “si può avere una prescrizione da un medico per andare poi in farmacia e acquistare la terapia necessaria. Noi abbiamo avuto tumori in famiglia, abbiamo lottato con il dolore e la malattia, sappiamo di cosa si parla. In Italia spesso vengono prescritti senza problemi ansiolitici da dottori che neanche si occupano di psicoterapia, non sono specializzati. Ma di esempi ne potrei fare altri. E, ancora, mi chiedo: perché gli oppioidi sì e la cannabis terapeutica no? La battaglia che facciamo io e mamma è per far sì che le persone siano informate”. L’artista rileva un gap informativo “soprattutto al Sud” ed è per questo, dice, che “nei giorni scorsi abbiamo organizzato un evento per parlare di questi temi in Puglia. Abbiamo un Ornella Muti Hemp club, che è un’associazione che fa informazione – assicura – Poi al Cannabis Medical Center di Milano ci sono medici esperti che la prescrivono”.
Oggi, continua, “l’Italia deve importare dall’estero” gran parte delle infiorescenze necessarie per le preparazioni, “perché la produzione nazionale non è abbastanza per rispondere alla richiesta dei malati. E spesso il paziente si trova a dover interrompere le cure perché non trova più il prodotto nelle farmacie. Noi abbiamo avuto questa tipologia di problema in famiglia, e vogliamo andare in giro e fare quello che possiamo con un team di esperti per spiegare, tentare di dare alle persone una chance per accedere alla cannabis a uso terapeutico. Non c’è proprio formazione sul tema. Mia madre ci mette la faccia perché noi non vogliamo che si debba lottare per avere queste terapie e perché venga garantita una continuità a chi le fa”.
Sono due i principi attivi, Thc (tetracannabidiolo) e Cbd (cannabidiolo), la cui azione viene sfruttata sul fronte medico, e su cui la ricerca sta andando avanti. “Non si parla neanche di sostituire altri farmaci con la cannabis terapeutica, ma di qualcosa di complementare. Si parla di garantire l’accesso a chi ne ha bisogno in base a un’indicazione medica – incalza Rivelli – Cosa chiederei al ministero della Salute? Di dare l’informazione giusta sulla cannabis medica. Capisco benissimo che l’Italia non è pronta in questo momento a dare via libera a formule come le coltivazioni a casa di cannabis medica, ma è importante che venga garantito l’accesso a questi trattamenti”.
L’APPELLO A MELONI – “La cosa più incredibile che oggi vediamo, dai messaggi che riceviamo, è che le persone non sanno della cannabis terapeutica. Quando se ne parla, spesso la politica reagisce replicando: noi non vogliamo le droghe. Ma così si tagliano in partenza le gambe al dibattito e l’attenzione viene distolta dal piano medico. Io mi rivolgo direttamente a Giorgia Meloni: siamo anche noi donne, mamme, e italiane, se non siamo cristiane non ha importanza, ci piacerebbe che ci ascoltasse. Come donna, come mamma e come figlia. Sia io che mia madre l’abbiamo invitata a venirci a trovare e avrei voluto che accettasse il nostro invito. Non era un gioco: se avessimo una donna accanto, che potesse far vedere veramente quello che stiamo cercando di fare, allora magari ci si staccherebbe dai pregiudizi che bollano tutto come ‘droga moment'”, è la riflessione di Rivelli, che lancia un appello alla premier, a sostegno della cannabis terapeutica.
“Questo appello glielo facciamo un giorno sì e uno no”, dice. “Né io né mia madre ci ‘fumiamo le canne’ – tiene più volte a puntualizzare – entrambe abbiamo utilizzato vaporizzazioni di cannabis medica con un medical device approvato. E di quello parliamo. In generale, è un peccato essere in un Paese dove gli appelli cadono nel vuoto. Mia madre è un personaggio importante, fa delle cose importanti, ha lavorato tutta la vita per l’Italia, rappresenta l’Italia in tutto il mondo. Quella che portiamo avanti è una battaglia per la cannabis terapeutica, perché si sappia che nel nostro Paese c’è questa situazione, che in questo campo i malati non hanno le cure di cui hanno bisogno perché il sistema è sbagliato”.
Prima di tutto, osserva Rivelli, vanno messi da parte i pregiudizi. “All’evento informativo che abbiamo organizzato in Puglia nei giorni scorsi con l’associazione Ornella Muti Hemp Club nessuno fumava erba, per intenderci – sorride – Prossimi passi del nostro impegno? Aprire in Piemonte una piccola ‘casa della canapa’, con esempi delle produzioni più belle. Di nuovo, non parliamo di droghe da sballo. Dove abbiamo la vigna, davanti a casa nostra, metteremo la canapa industriale, che si può coltivare in Italia, e la gente potrà venire a farsi foto, a informarsi. Altro progetto: dopo Milano vorremmo arrivare all’inaugurazione di un Cannabis Medical Center anche a Roma. Speriamo entro dicembre di partire con questo nuovo progetto e di invitare la nostra Giorgia. Non si sa mai”, sorride di nuovo.
“Si va al Vinitaly, che non aiuta i malati, il Cannabis medical center sì. Per questo – dice Rivelli – io mi appello a Meloni. Se una donna importante come lei, che è contro le droghe, vedesse quello che stiamo facendo in realtà e ci desse un po’ di luce, allora magari potremmo fare cose meravigliose per le persone con bisogni medici. L’altro fronte riguarda la produzione: perché l’Italia non può prodursi la sua cannabis terapeutica per le farmacie? Chiedo su questo un’apertura agli agricoltori che vorrebbero coltivarla, ma oggi non gli è permesso, salvo poi doverla comprare all’estero e pagarla di più”.