(Adnkronos) – “Il progetto ‘Connessioni di vita’ nasce dall’ascolto del bisogno del paziente che chiedeva di migliorare il rapporto di comunicazione durante la visita con il proprio clinico” di riferimento, “ma anche di migliorare quel rapporto di comunicazione che aveva all’interno della propria famiglia, con i propri cari o con chi se ne prendeva cura, il caregiver”. Lo spiega Chiara Gnocchi, Country Communication & Patient Engagement Head Novartis Italia, a proposito del progetto ‘Connessioni di vita. La guida per le interazioni che fanno bene’, la prima analisi neurometrica sulle interazioni che i pazienti con neoplasie mieloproliferative croniche e leucemia mieloide cronica vivono con i loro medici, familiari e amici, promossa da Novartis, in collaborazione con l’Associazione pazienti con malattie mieloproliferative Aipamm, nell’ambito della campagna di informazione e sensibilizzazione ‘Mielo-Spieghi’.
“La guida – continua Gnocchi – ha 10 consigli che ci auguriamo possano aiutare i pazienti che convivono con un tumore cronico del sangue, per interagire meglio con gli attori fondamentali nel proprio percorso di cura: in primis il medico, ma anche i familiari. Questo – ribadisce – è stato possibile grazie alla collaborazione con il centro di ricerca Behavior and Brain Lab dell’Università Iulm di Milano e con Aipamm, associazione pazienti che ci aiuta in questo percorso che si focalizza nelle malattie mieloproliferative, un tipo di tumore del sangue di cui ci occupiamo, e di 10 clinici, ematologi che fanno parte del board dell’iniziativa”.
Come ricorda Gnocchi, “Novartis è presente nell’area ematologica da oltre 25 anni e questo impegno ha portato allo sviluppo di farmaci e servizi innovativi che hanno migliorato e prolungato la vita dei pazienti. Sicuramente – evidenzia – in questi anni è cambiato anche l’atteggiamento dei pazienti che, sempre di più, hanno potuto convivere con patologie che sono diventate croniche. In questo cambio di paradigma è cambiato profondamente anche il ruolo del paziente, verso un atteggiamento più attivo, più empowered, nel prendersi in carico il proprio percorso di diagnosi e cura. Questo percorso però – conclude Gnocchi – nasce assolutamente dall’ascolto dei bisogni del paziente e del caregiver, ma anche del medico che ha in cura questa persona”.