(Adnkronos) – Starnuti, naso chiuso e fazzoletto sempre in mano. Un po’ di mal di gola, magari poche linee di febbre, qualche disturbo a stomaco e intestino. Troppo poco per dire “ho l’influenza”, non abbastanza per dire “ho il Covid” perché il test è negativo. Che cos’è? O meglio, cosa sono? Tanti anni fa il virologo Fabrizio Pregliasco li ha battezzati “virus ‘cugini'”, parenti più o meno stretti dell’influenza vera e propria, in agguato soprattutto nelle stagioni di mezzo come questa. “Fra tipi e sottotipi ne contiamo ben 262”, spiega l’esperto che affida all’Adnkronos Salute un identikit di queste forme simil-influenzali e una guida per gestirle in sicurezza.
La carica dei virus cugini causerà quest’anno in Italia “circa 10 milioni di casi, che si affiancheranno a 5-6 milioni di casi di vera influenza”, prevede Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’università Statale e direttore sanitario dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. “Una stima che si basa su dati storici – precisa – sull’andamento delle precedenti stagioni”.
Nemici invisibili diversi sia dall’influenza sia dal Covid? “Escludendo Sars-CoV-2 – illustra Pregliasco – a creare problemi respiratori ci sono 263 virus che possono essere messi su una scala in crescendo. Sul gradino più alto, il 263esimo, c’è l’influenza vera e propria”; le altre 262 posizioni sono dunque occupate da virus ‘parenti’. “Sul gradino più basso di questa scala immaginaria – chiarisce lo specialista – troviamo i rhinovirus, i virus del semplice raffreddore. Mentre all’estremo opposto, subito sotto all’influenza, ci sono il virus respiratorio sinciziale dell’adulto e i metapneumovirus che con l’influenza rappresentano i più pesanti dal punto di vista clinico”. Sui gradini intermedi ‘siedono’ “tutti gli altri virus cugini: adenovirus, coronavirus non Covid, virus parainfluenzali, enterovirus”, solo per elencare i principali.
“Si tratta di virus che danno problematiche molto variabili”, sottolinea Pregliasco. Fra le più comuni “un po’ di raffreddore e di mal di gola, magari anche febbre lieve, a volte qualche disturbo gastrointestinale. Insomma sintomi più sfumati e che durano meno dei classici 5 giorni” di ‘passione’ tipici dell’influenza Doc, “un mischione che spinge molti a dire ‘ho avuto l’influenza’ anche se influenza non era”. Per chiamarla tale, ricorda l’esperto, “come sappiamo bisogna avere un rialzo brusco della temperatura, con febbre oltre i 38 gradi, almeno un sintomo generale (dolori muscolari-articolari) e almeno un sintomo respiratorio”.
“La maggior parte dei virus cugini si tratta con un’automedicazione responsabile, che vuol dire utilizzo di farmaci sintomatici che devono attenuare i disturbi senza però senza azzerarli: questo è un principio chiave dell’automedicazione responsabile”, puntualizza Pregliasco. “Per non fare il gioco del virus dobbiamo alleviare i sintomi senza cancellarli del tutto”, in modo da monitorare l’andamento della malattia e permettere all’organismo di reagire. I ‘pilastri’ di questo approccio sono diversi e numerosi. “Parliamo di principi attivi che vanno dall’antifebbrile al decongestionante nasale, da soli o formulati in mix, ad altri antinfiammatori o farmaci mirati ai sintomi specifici, da assumere – raccomanda il virologo – facendosi consigliare dal medico”.
Nella vita di tutti i giorni e fuori dall’ambiente ospedaliero, il dubbio sorge spontaneo e legittimo in quest’era post-pandemia, caratterizzata da una co-circolazione di virus cugini, influenza e Sars-CoV-2. “Per il paziente fragile e per l’anziano – è l’indicazione generale di Pregliasco – il tampone Covid-19 diventa un elemento determinante per poter effettuare una diagnosi differenziale e capire subito se avviare o meno il trattamento con i farmaci antivirali anti-Covid”. Se invece una persona è di base in salute, “il tampone è meglio farlo se deve incontrare anziani e fragili oppure assisterli, quindi se si tratta di caregiver o personale sanitario, per definizione in contatto con queste categorie a rischio”.
“Usiamo la mascherina senza più quell’aspetto ideologico del passato”, ribadisce l’esperto. “La mascherina serve per proteggersi, ma soprattutto per proteggere gli altri se siamo sintomatici o se sappiamo di essere positivi al Covid, perché ricordiamoci che in questi casi siamo ‘untori'”. La mascherina torna importante tanto più considerando che, “se stai bene, per il medico diventa problematico prescrivere la malattia e perciò è presumibile che molti vadano al lavoro come si faceva anche in passato, prendendo un farmaco e via”. Per Pregliasco, “l’ideale sarebbe affidarsi al buonsenso. Se proprio si esce, mascherina chirurgica e no allo stigma. Non additiamo chi, per mille ragioni, preferisce usarla. Forse è una persona che sa di essere fragile, magari è un paziente oncologico. Chi vuole deve poter indossare la mascherina in serenità – ammonisce il virologo – senza essere guardato male, come purtroppo spesso accade in questa fase di minimizzazione”. (di Paola Olgiati)