(Adnkronos) – Abuso di antibiotici, ricorso a farmaci inutili: in età pediatrica il rischio di effetti collaterali e reazioni avverse è dietro l’angolo. “Di questo si occupa la farmacovigilanza in età pediatrica, che dalla nascita ai 16 anni ha un ambito piuttosto delicato d’intervento perché gli studi clinici spesso non coinvolgono bambini – o comunque non sono rappresentati in numero adeguato – e questo può portare a somministrare nei piccoli i farmaci usati negli adulti, con il metodo empirico di ridurre la dose”. Così il pediatra Michele Gangemi, curatore della rubrica ‘Farmaci e bambini’ sul portale farmacovigilanza.eu del Centro regionale di farmacovigilanza della Regione Veneto, in un’intervista ad ‘Alleati per la Salute’, portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.
“Il dosaggio dei farmaci – spiega Gangemi – dovrebbe essere almeno collegato al peso, rispetto alla sola fascia d’età, perché nei piccoli la farmacocinetica”, cioè la velocità di assorbimento e distribuzione del farmaco per dare l’effetto terapeutico, “è diversa rispetto all’adulto e le reazioni avverse possono avere frequenza e caratteristiche differenti, in base all’età”. Gli antibiotici, ad esempio, “che sono i farmaci più usati nei bambini sani con infezioni respiratorie recidivanti – sottolinea il pediatra – spesso sono somministrati in sospensione orale e il farmaco va diluito secondo prescrizione. Qui il pediatra, nel dialogo con i genitori, dovrebbe non dare per scontato che la diluizione della polvere avvenga nel modo corretto e fornire anche indicazioni per la sua conservazione, soprattutto nella stagione estiva, quando la temperatura si alza. E’ importante quindi che faccia attenzione non solo al dosaggio e alla conservazione del farmaco, ma ricordare inoltre che alcuni antibiotici possono dare fotosensibilità”, cioè dermatiti innescate dall’esposizione ai raggi solari, “quindi assicurarsi che il bambino eviti di stare al sole, quando assume certi farmaci”.
Un altro esempio è la terapia aerosolica che “è spesso usata male e con effetto cosmetico – continua – Per l’asma è importante che venga fatta con farmaci adeguati, al giusto dosaggio e con la collaborazione del bambino: se non collabora, la fattibilità della terapia ne risente. Bisogna capire se il bambino fa aerosol, sa inalare e, in caso contrario, valutare delle terapie alternative. Non possiamo dare per scontato che il bambino sappia fare l’aerosol o accettare che lo faccia mentre dorme, come riportano a volte i genitori, perché manca la parte attiva del bambino e di conseguenza si riduce l’efficacia della cura”.
Oltre alla concentrazione, alla conservazione e alla modalità di somministrazione, sono importanti anche gli orari della terapia. “Nel caso dell’antibiotico da assumere ogni 8 ore – raccomanda ancora Gangemi – è bene che il pediatra verifichi con il genitore se orari come 7, 15 e 22 sono compatibili con quelli del bambino, che sia sveglio. Nel caso si debba adattare la terapia agli orari, si deve considerare un compromesso adeguato e fare in modo che le 8 ore non diventino 5-6, e garantire che non si alteri la farmacocinetica del medicinale che deve arrivare negli organi bersaglio in modo efficace e con il rischio più basso possibile di reazione avverse”.
Tutte queste informazioni – si legge nell’articolo – sono presenti nei foglietti illustrativi, che dovrebbero essere letti dai genitori, anche se il modo in cui sono scritti può rendere difficile la consultazione e l’interpretazione. “Sono stati fatti dei tentativi per renderli più semplici, possono essere migliorati – riflette il pediatra – In generale serve collaborazione tra società scientifiche pediatriche, le autorità regolatorie e le aziende farmaceutiche, perché spesso anche noi adulti fatichiamo a leggere tutte le informative che sono molto dettagliate per questioni legali, mentre sono particolarmente complesse da interpretare, soprattutto se si pensa a un genitore agitato, che deve iniziare la terapia per il suo piccolo”.
In mancanza di foglietti illustrativi di più semplice interpretazione, “l’aspetto comunicativo relazionale tra pediatra e genitore è particolarmente importante”, evidenzia Gangemi. Come ricorda il pediatra, infatti, “i farmaci, dopo l’autorizzazione per l’uso nell’adulto, vanno incontro a sperimentazioni ad hoc per fasce d’età. Questo è difficile da fare nei bambini, perché è normale che un genitore sia perplesso alla richiesta di arruolare in uno studio clinico il figlio lattante e sano. Da un lato la comunità scientifica richiede sperimentazioni ad hoc, ma dall’altro, essendo complesso farle in alcune fasce d’età pediatrica, rischiamo di non avere farmaci sperimentati per alcune condizioni cliniche. In assenza di alternativa terapeutica”, dunque, “se c’è una ragionevole evidenza si può ricorrere a un utilizzo off label, cioè fuori etichetta o indicazioni date dalla casa farmaceutica, approvate per l’impiego del farmaco. E’ un utilizzo molto delicato non solo per aspetti medico legali, ma anche per la questione dell’informazione ai genitori, che devono sapere perché si fa questa scelta”.
Una buona relazione tra pediatra e genitore aiuta anche nella scelta terapeutica migliore ed evita l’esposizione del piccolo a inutili effetti avversi.
“La prima regola della farmacovigilanza è non dare farmaci inutili – conclude Gangemi – Con pochissimi farmaci il pediatra può curare gran parte dei bambini. A volte il genitore pensa che dando l’antibiotico il bambino possa guarire prima, ma in realtà due terzi delle infezioni respiratorie sono date da virus, non da batteri. Quindi spesso viene somministrato impropriamente l’antibiotico, senza nessun vantaggio terapeutico, ma con il rischio di reazioni avverse e della farmacoresistenza”.
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