(Adnkronos) –
Perché alcuni uomini non producono sperma? A questa domanda hanno cercato a lungo di rispondere i ricercatori impegnati nella lotta all’infertilità, una condizione che interessa milioni di coppie in tutto il mondo e che nella metà dei casi ha origine in un problema maschile. Il 10% degli uomini infertili, in particolare, hanno poco sperma, in quantità non sufficiente a fecondare un ovulo, o non ne producono affatto.
Ora uno studio su ‘Science Advances’, condotto da scienziati dello Stowers Institute for Medical Research statunitense in collaborazione con colleghi del Wellcome Centre for Cell Biology dell’università di Edimburgo in Scozia, ha identificato la causa della mancata sintesi di spermatozoi: è la mutazione di una piccola porzione all’interno di una proteina, uno dei tanti ‘mattoni’ che compongono un’ampia struttura a ponte cruciale per la produzione dei gameti, le cellule sessuali maschili e femminili. La scoperta, sperano gli autori, potrà aprire la strada a terapie mirate.
“Una causa significativa di infertilità maschile è la mancata produzione di sperma”. Ma “se sai esattamente cosa c’è che non va, esistono tecnologie emergenti potenzialmente in grado di risolvere il problema”, afferma Scott Hawley, ricercatore dello Stowers Institute, capo del laboratorio che ha pubblicato il lavoro insieme a Owen Davies del Wellcome Centre.
Gli studiosi hanno concentrato la loro attenzione su “una struttura proteica simile a un ponte reticolare”, che si chiama complesso sinaptonemico e che nella maggior parte delle specie la cui riproduzione avviene per via sessuale – uomo compreso – deve formarsi in maniera adeguata per consentire la sintesi di spermatozoi e ovuli. Il team guidato da Katherine Billmyre dell’Hawley Lab ha capito, grazie a test sui topi, che “la modifica di un singolo punto, molto specifico, di questo ponte ne provoca il collasso portando all’infertilità”.
Il processo di divisione cellulare che dà origine a sperma e ovuli si chiama meiosi e prevede diverse fasi, una delle quali è la formazione del complesso sinaptonemico. “Come un ponte”, spiegano gli scienziati, questa struttura proteica “mantiene in posizione le coppie di cromosomi, permettendo che si verifichino gli scambi genetici necessari affinché i cromosomi si separino correttamente in sperma e ovociti”. Siccome “un contributo significativo all’infertilità è rappresentato da difetti della meiosi”, chiarisce Billmyre, è fondamentale capire come si forma complesso sinaptonemico e cosa può andare male nella costruzione di questo ponte.
Ricerche precedenti avevano già esaminato molte proteine che compongono il complesso sinaptonemico e il modo in cui interagiscono fra loro, identificando varie mutazioni legate all’infertilità maschile. Gli autori del nuovo studio si sono però focalizzati su una proteina che ha il compito di formare i reticoli di questo ‘ponte della vita’ e che presenta una porzione comune a uomini, topi e alla maggior parte degli altri vertebrati. Un elemento che suggerisce quanto quest’area possa essere indispensabile al corretto assemblaggio del complesso sinaptonemico. Utilizzando una tecnica di editing genetico – il ‘taglia-incolla’ del Dna – gli scienziati hanno provato ad apportare alla proteina prescelta svariate mutazioni, localizzate nella piccolissima zona che ritenevano potenzialmente cruciale. L’hanno fatto nei topi, potendo dunque testare per la prima volta in animali vivi l’effetto di differenti mutazioni.
“Ci siamo concentrati su una minuscola regione di una singola proteina all’interno di questa struttura gigantesca” che è il complesso sinaptonemico, perché “eravamo abbastanza sicuri” che potesse trovarsi lì “una causa significativa di infertilità”, sottolinea Hawley. Ebbene, “solo una singola mutazione”, tra quelle previste dagli esperimenti di modellazione e testate, “è stata verificata come responsabile dell’infertilità”, riportano gli autori. E “la molecola che”, mutata, “ha causato l’infertilità nei topi – puntualizzano – probabilmente funziona allo stesso modo negli esseri umani”. Per Billmyre, la cosa “davvero entusiasmante” è che “la nostra ricerca può aiutarci a comprendere un processo fondamentale necessario per la vita”. E come dice Hawley, sapere cosa può andare storto potrà aiutare la scienza a evitarlo.