(Adnkronos) – “Nel 2026 serviranno circa 2,3 miliardi per il personale necessario a far partire le strutture previste dal Pnrr e per mettere a terra la riforma collegata dell’assistenza sanitaria territoriale del Servizio sanitario nazionale prevista dal Dm 77. Servono almeno altri 2mila medici, 20mila infermieri e oltre 30mila unità di personale tra dirigenti sanitari, professioni sanitarie, operatori sociosanitari e personale di supporto. Una sfida difficile con le attuali risorse a disposizione della sanità”. Lo ha detto Tonino Aceti, presidente di Salutequità, intervenendo alla presentazione delle ultime analisi e proposte dell”Osservatorio permanente assistenza pazienti Non-Covid. Focus su cronicità’ illustrate ieri nel corso di un incontro con i rappresentanti della politica nazionale e i principali stakeholder del Ssn, realizzato con il contributo non condizionato di Ucb, Bristol Myers Squibb, Gruppo Menarini, Sanofi e Beigene.
“Un obiettivo difficile – prosegue Aceti – perché le attuali coperture relative al personale sanitario per il 2026, anno in cui andranno a regime Pnrr e Dm 77, ad oggi si attestano con più di qualche elemento d’incertezza a 1,7-1,8 miliardi di euro, a fronte di un costo che oscilla tra circa 2,1 e 2,3 miliardi. Vanno trovate ulteriori coperture per circa 500 milioni di euro, altrimenti il debito buono relativo alle nuove strutture territoriali previste dal Pnrr si trasformerà in debito cattivo, cioè strutture senza tutto il personale necessario. Non solo. Le coperture devono essere effettive e non solo basate su presunti e potenziali risparmi di spesa derivanti dall’applicazione della riforma territoriale. Su questo l’Ufficio parlamentare di bilancio è stato chiaro”.
Entro metà 2026 – è emerso dall’incontro – si dovranno realizzare 1.430 Case di comunità, 435 ospedali di comunità e 611 Centrali per la continuità assistenziale, queste ultime però entro metà 2024. Circa l’80% (1.121) delle Case di comunità saranno oggetto di riconversioni e adeguamento di strutture esistenti; 310 quelle costruite ex novo (48 in Lombardia, 47 in Campania, 38 in Puglia e Toscana, 24 in Veneto ed Emilia-Romagna). Non è tutto. Quasi una Casa di comunità su tre (484/1430) sarà spoke, ovvero garantirà presenza medica e infermieristica 6 giorni su 7, 12 ore al giorno, e potrebbe non prevedere servizi diagnostici di base, continuità assistenziale e punti prelievi (obbligatori invece nelle Cdc hub che garantiscono presenza medica h24 7 giorni su 7, e infermieristica almeno h12 per 7 giorni su 7).
“Non si può immaginare di realizzare un nuovo modello di sanità di prossimità omogenea nelle regioni, e capace di garantire maggiore equità di accesso, soprattutto per le persone con cronicità – avverte Aceti – senza considerare che per garantire l’assistenza non bastano solo le strutture o le reti informatiche e informative, ma servono i professionisti che le animano, le utilizzano in modo appropriato e le finalizzano al soddisfacimento dei bisogni di salute dei cittadini”.