(Adnkronos) – Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), in Italia 52 in totale di cui 22 pubblici, entrano in una nuova era con la riforma voluta dal ministero della Salute, che punta a “rafforzare il rapporto tra ricerca, innovazione e cure sanitarie, attraverso la revisione e l’aggiornamento dell’assetto regolamentare e del regime giuridico”. E’ arrivato infatti nei giorni scorsi il primo via libera dal Consiglio dei ministri al decreto legislativo di attuazione della delega relativa al riordino della disciplina degli Irccs. Una riforma che è strettamente legata al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, e che deve essere varata definitivamente entro il 31 dicembre. Il decreto dovrà ora passare all’esame in Stato-Regioni, poi servirà il parere delle commissioni di Camera e Senato, quindi tornerà in Cdm. Sarà dunque il nuovo Esecutivo a varare la riforma.
L’origine degli Irccs risale agli ’30 del secolo scorso. E’ il Regio Decreto del 30 settembre 1938 numero 1631 a definire la nascita di centri specializzati nella cura e nella ricerca per malattie di particolare rilevanza sociale. Anche negli Usa nascevano in quel periodo i primi National Institutes of Health.
Questi i 10 punti chiave della riforma, secondo il ministero della Salute: 1) Potenziare il ruolo degli Irccs quali ‘Istituti di ricerca e cura’ di eccellenza, di rilevanza nazionale e internazionale; 2) Rafforzare il sistema di valutazione in un’ottica di trasparenza e di maggiore coerenza rispetto al quadro internazionale della ricerca biomedica, nonché procedere alla revisione dei criteri per la procedura di riconoscimento, di revoca o conferma del carattere scientifico degli istituti; 3) Rendere il riconoscimento di Irccs più oggettivabile e che tenga conto delle necessità dei diversi territori, anche in riferimento al bacino minimo di riferimento per ciascuna area tematica di ricerca; 4) Garantire un equo accesso alle cure erogate dagli Irccs a tutti i cittadini, indipendentemente dal proprio luogo di residenza secondo principi di appropriatezza e ottimizzazione dell’offerta sanitaria; 5) Garantire che il finanziamento complessivo della ricerca sanitaria nell’ambito del Fondo sanitario nazionale (Fsn) si mantenga adeguato ed effettivo, anche in caso di riconoscimento di nuovi Irccs.
E ancora: 6) Disciplinare la collaborazione tra le Regioni attraverso forme di coordinamento interregionale della programmazione sanitaria per le sedi secondarie degli Irccs; 7) Disciplinare le modalità di svolgimento delle attività di ricerca delle Reti e la loro partecipazione a progetti di ricerca internazionali; 8) Incrementare la qualità della ricerca sanitaria nazionale in un’ottica traslazionale, rafforzando il raccordo tra direzione generale e direzione scientifica dell’Irccs; 9) Revisionare l’attuale disciplina sul personale di ricerca del Servizio sanitario nazionale, per valorizzarne potenzialità e percorso professionale; 10) Facilitare l’attività di trasferimento tecnologico dall’idea progettuale all’eventuale brevetto e alla fase di produzione e commercializzazione.
Nell’articolo 11 del decreto legislativo di riforma degli Irccs è previsto che “a decorrere dal 2023, nell’ambito del fabbisogno sanitario standard, viene individuato per il medesimo anno un fondo pari a euro 40 milioni, da rivalutare annualmente da parte del ministero della Salute sulla base dei fabbisogni assistenziali soddisfatti, destinato alla remunerazione di queste prestazioni e ripartito tra le Regioni in coerenza con le prestazioni di alta specialità rientranti nelle aree tematiche dei singoli Irccs rilevate nell’ambito dei flussi informativi”.
La voce dei precari della ricerca. La riforma degli Irccs deve contenere la stabilizzazione dei quasi 1.300 precari storici che da anni fanno ricerca negli Istituti con contratti a tempo determinato che creano una sorta di precariato a vita”. Così all’Adnkronos Salute l’Arsi, l’Associazione dei ricercatori in sanità Italia, interviene sulla pubblicazione in via preliminare da parte del Governo del decreto legislativo sulla riforma degli Irccs. Secondo l’Arsi nel dlgs “manca il riconoscimento del titolo del dottorato di ricerca per l’accesso alla dirigenza per chi fa ricerca negli Irccs, era un punto inserito nei vari emendamento alla legge delega . osserva l’associazione – che però sono stati ritirati. Ma è un punto importante per il mondo accademico, il titolo di Phd è abilitante per svolgere ricerca e manca nella riforma”.
La politica. Una revisione” degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico “era necessaria visto che occorreva armonizzare il tutto e renderlo anche comunicante con il sistema sanitario nazionale e con gli obiettivi di sanità del Pnrr. La legge delega sulla riforma degli Irccs prevede di razionalizzare la distribuzione sul territorio legandola al bacino di utenza, ci sarà una revisione dei sistemi di accesso per i pazienti che arrivano da altre regioni e questo per aiutare a trovare la soddisfazione ai bisogni di cura nelle eccellenze sanitarie che ci sono anche al Sud. Uno degli obiettivi di questa riforma, e del M5S, è anche quello di rilanciare gli Irccs del Sud Italia”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Elisa Pirro, già capogruppo per il M5S in Commissione Sanità e riconfermata al Senato anche nella prossima legislatura.
Secondo Beatrice Lorenzin, già ministro della Salute e deputata del Partito democratico, prossima a varcare le porte del Senato “la riforma degli Irccs è partita in un modo e arrivata in un altro. Molti emendamenti sono stati scritti per cercare di spiegare come fosse ben chiaro che gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono un’infrastruttura nazionale di ricerca e un elemento di sviluppo della stessa per l’Italia nel settore biomedicale e traslazionale. Una leva per lo sviluppo dell’assistenza e della qualità nella sperimentazione clinica. Questa riforma – sostiene – deve essere un’occasione per far sviluppare nuovi Irccs anche al Sud e non congelare la situazione attuale con 52 istituti tra pubblici e privati”. Fin qui le luci, ma nella riforma ci sono anche alcune ombre non risolte, “ad esempio il personale – evidenzia – un tema che non abbiamo potuto inserire, ma dobbiamo sottolineare la necessità di un investimento serio sul personale. Questo anche perché, se vogliamo far tornare i nostri ‘cervelli’ dall’estero, dobbiamo essere attrattivi nell’offerta economica e nella possibilità di fare team”. “Nella prossima legge di Bilancio va aumentato il Fondo per la ricerca, altrimenti la riforma non funzionerà”, conclud.
I direttori degli Ircss. Sulla riforma degli Irccs, in particolare per quanto riguarda il decreto attuativo approvato nei giorni scorsi e che comincia il suo iter legislativo, “la fretta non è stata buona consigliera”. Lo sostiene Luigi Frati, direttore scientifico Neuromed, Istituto neurologico mediterraneo, Irccs di Pozzili (Is) che, all’Adnkronos Salute, spiega i punti su cui il riordino delle strutture di eccellenza italiane.
“Se la sostanza, ossia le attività svolte dagli Irccs, troverà un sostegno nella forma, cioè nel quadro normativo che le regola, allora potrà realizzarsi una vera alleanza tra pubblico e privato, di cui beneficeranno unicamente i nostri malati”. Carlo Nicora, direttore generale dell’Istituto nazionale tumori (Int) di Milano, accoglie con favore il primo via libera del Consiglio dei ministri al decreto legislativo di attuazione della delega relativa al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. “Un provvedimento molto atteso – dichiara il Dg all’Adnkronos Salute – che rientra fra gli obiettivi della Missione 6 Salute del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza”, e che va inteso come “uno stimolo positivo per tutti” gli attori del sistema. Se si impegneranno a centrare i requisiti più stringenti richiesti nella riforma, secondo Nicora “ne guadagnerà la competitività della ricerca italiana nel mondo, a vantaggio innanzitutto dei pazienti”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il direttore generale dell’Istituto pediatrico di ricovero e cura a carattere scientifico Giannina Gaslini di Genova, Renato Botti. Si tratta di “un atto importante e un segnale di attenzione che ha, almeno nelle sue intenzioni, tanti punti favorevoli sui quali non posso che concordare ma – osserva – ha anche alcune ombre. Quello che conterà però è la reale applicazione di questi criteri per cercare davvero di premiare il merito, la qualità e l’eccellenza”. Tra le luci del provvedimento “i criteri più stringenti richiesti agli Irccs” perché – sottolinea – “tutti dobbiamo essere stimolati al meglio ma, come sempre, deve esserci coerenza tra quello che si enuncia e quello che si fa”. Nel dettaglio, poi, il manager fa notare “un passaggio importante sul potenziamento delle reti Irccs, che – dice – spero venga realizzato in modo coerente e forte, perché finora, purtroppo, le reti sono state strumenti troppo deboli”. E ancora: Botti saluta con favore il chiarimento, nel decreto, sulla incompatibilità dei direttori scientifici, ma si dice “perplesso per la frase finale ‘senza ulteriore compensi’: non si capisce perché se uno è bravo – afferma – non debba anche guadagnare. Negli altri Paesi guadagnano 3 volte tanto e quando vogliamo portarli da noi è ovvio che non ci riusciamo. Chi è bravo deve essere pagato – ribadisce – e noi abbiamo compensi di 25 anni fa”.