(Adnkronos) –
Una persona su 10 con cronicità o multi-cronicità è affetta da psoriasi (si stima 1,8 milioni su 24 milioni) che colpisce circa il 3% della popolazione nel nostro Paese. L’Oms se ne è occupata sottolineando il significativo socioeconomic burden della patologia per l’impatto su vita professionale, costi pubblici e privati per i trattamenti. Tuttavia, secondo Tonino Aceti, presidente Salutequità e Valeria
Corazza, presidente Apfiaco Associazione psoriasici italiani amici della Fondazione Corazza, ad “oggi in Italia non esiste nessun atto di programmazione nazionale o regionale che definisca priorità, il modo appropriato di affrontarla, e la spesa sanitaria per i soli farmaci aumenta, ma l’aderenza alle terapie è generalmente bassa”.
È evidente – si legge in una nota – che le persone affette da psoriasi hanno urgenza di risposte precise nella programmazione nazionale. Non ci sono dubbi che la malattia risponda pienamente a quei criteri dichiarati nel Piano nazionale della cronicità (Pnc) che indica come selezionare le patologie croniche da inserire nella parte seconda del Piano (“…non esistono atti programmatori specifici a livello nazionale, individuati attraverso criteri quali la rilevanza epidemiologica, la gravità, l’invalidità, il peso assistenziale ed economico, la difficoltà di diagnosi e di accesso alle cure”). La richiesta dell’inserimento della psoriasi nel Pnc, per Aceti e Corazza, sarebbe una “svolta importante per dare anche un significato nuovo, rompere la barriera del pregiudizio e guardare in modo lungimirante alla sostenibilità ed appropriatezza del Ssn”.
Richiesta condivisa dal consiglio regionale della Liguria che a luglio – prosegue la nota – ha approvato un ordine del giorno sottoscritto da tutti i gruppi, che impegna la giunta a farsi portavoce presso il Governo affinché la malattia sia inserita nel Pnc perché rientra nel novero delle patologie croniche che richiedono un approccio interdisciplinare e una presa in carico totale del paziente. Si tratta infatti di una malattia immuno-mediata ad andamento cronico-recidivante che si sviluppa per una interazione tra fattori genetici e ambientali, oltre ad essere associata ad altre situazioni patologiche.
“Oggi il percorso diagnostico è ancora tortuoso e non formalizzato – sottolinea Corazza – L’inserimento della psoriasi nel Piano nazionale cronicità rappresenterebbe una definizione maggiore della portata della patologia, aiuterebbe a stratificare la popolazione che ne è affetta e implicherebbe lo sviluppo sistematico da parte delle diverse regioni di Pdta a livello specialistico per una migliore presa in carico dei pazienti e un più equo accesso alle cure su tutto il territorio nazionale. Significherebbe elevare la psoriasi sullo stesso piano di tutte le altre malattie croniche, con pari diritti, perché la psoriasi non è una malattia di sole ‘due macchioline’ sulla pelle”.
“L’inserimento della psoriasi nel Pnc – rimarca Aceti – rappresenta una priorità, soprattutto in questo momento, visto che è in discussione per l’aggiornamento. Sarebbe inaccettabile per i pazienti che ne sono affetti dover attendere altri 7 anni per esser considerati nel successivo aggiornamento: conviene a tutti, pazienti, professionisti sanitari e Ssn. Già ci sono regioni che se ne stanno rendendo conto e chiedono un intervento strutturato e uniforme al livello nazionale”
Alla psoriasi sono associate altre patologie, quali sindrome metabolica (obesità), ipertensione, diabete, depressione dovuta alla severità della patologia e alla localizzazione (per esempio volto, mani, parti intime, zone sensibili), rischio di malattie cardiovascolari. La buona notizia – riferisce la nota – è che curando la psoriasi diminuisce il rischio di infarto e ictus. Una persona con psoriasi su tre (33%) soffre di una comorbidità, una su cinque (19%) di due, e poco meno di una su dieci (8%) di tre. In quanto infiammatoria, se non controllata, comporta dei danni cumulativi come per esempio l’artrite psoriasica che compare nel 30% dei pazienti che presentano inizialmente psoriasi solo a livello cutaneo.
Non è tutto: si stima che siano 150 mila le persone con patologia in forma severa e che circa 50 mila siano in cura con farmaci biologici e altrettanti 50 mila in lista di attesa. Il tasso di aderenza terapeutica però è generalmente basso: dati di una revisione sistematica del 2016 – riferisce la nota – hanno mostrato che solo un paziente su 5 in trattamento con agenti topici mantiene la terapia nel tempo (20%); ma 4 su 5 interrompono i trattamenti (80%).
Nelle Regioni – conclude la nota – l’attenzione è prevalentemente rivolta all’uso dei farmaci come nel caso di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Sicilia; anche se ci sono iniziative che interessano il livello locale come il finanziamento dell’ambulatorio Cross presso l’Irccs De Bellis deliberato dalla Puglia (Dgr 28 marzo 2022, n. 418). Per il resto restano ancora valide le difficoltà riscontrate dal Censis nel suo rapporto del 2015: in 7 casi su 10 i pazienti sono passati da uno specialista ad un altro per ottenere una diagnosi corretta e in 5 su 10 si sono rivolti in media a 4 diversi specialisti o Centri prima di individuare l’attuale interlocutore a cui affidarsi per le cure. Accesso reso ancora più difficile dalla pandemia. Nel 2021, considerando i soli 3 mesi oggetto di monitoraggio, accedere ad una visita dermatologica è stato più complicato rispetto al 2019 e al 2020: le prestazioni a disposizione per gli assistiti ai fini di una diagnosi o di controlli sono state 10.827, meno rispetto ai 2 anni precedenti (11.333 e 11.994).