(Adnkronos) – “Un gap d’informazione è in parte responsabile del ritardo nella diagnosi e dunque nella presa in carico del paziente con dolore cronico”. Queste persone “riferiscono di avere atteso 6-7 mesi prima di rivolgersi al farmacista e circa 2 anni, prima di cercare l’aiuto di un medico. Infine, per avere una diagnosi effettiva, può passare un ulteriore anno. Questo significa che per vedere riconosciuta la sua patologia, il paziente affetto da dolore cronico deve attendere 3 anni dalla comparsa dei sintomi”. Così Sara Carloni, Quantitative Research Director di Elma Research, oggi, a Milano, presentando i dati dell’indagine ‘Il dolore cronico nella popolazione’ nel corso della conferenza stampa di presentazione della campagna ‘E tu sai cosa si prova? Superare il dolore si può’, promossa da Sandoz con il patrocinio di Aisd (Associazione italiana per lo studio del dolore), FederDolore – Sicd, Fondazione Isal, Fondazione Onda e Simg (Società italiana di medicina generale).
L’indagine – promossa da Fondazione Onda e dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e del genere, con il supporto non condizionato di Sandoz, e realizzata da Elma Research – evidenzia infatti che “il 34% degli intervistati aveva sofferto o soffre tuttora di un dolore che definisce come cronico – ricorda Carloni – Il 23%, invece, riferisce di aver ricevuto una diagnosi vera e propria di dolore cronico. Solo il 16% è soddisfatto di quello che sa sul dolore cronico, il che significa che l’84% del campione ritiene insufficiente l’informazione sul tema”, tanto che “il 55% vorrebbe poter ricevere informazioni pratiche e concrete su come comportarsi in caso di dolore cronico”. L’indagine, condotta su un campione di 600 italiani (300 uomini e 330 donne) tra 18 e 70 anni, ha fatto emergere anche una differenza d’incidenza tra i generi. “E’ lievemente più alta presso la popolazione femminile – precisa Carloni – e la causa è da ricercare nel fatto che le patologie di fondo che determinano il dolore cronico sono più frequenti nelle donne, penso ad esempio alle problematiche osteoarticolari, in primis la lombalgia, alle malattie reumatiche – aggiunge – che sappiamo essere molto presenti nella popolazione femminile, e anche alla fibromialgia”.
Le interviste rivelano inoltre che “il 64% del campione, percentuale che comprende anche soggetti che non hanno mai sofferto in prima persona di dolore cronico – illustra l’esperta – ritiene che tale disturbo sia una vera e propria patologia. Ciò significa che un’ampia fetta degli intervistati riconosce il dolore cronico come una malattia invalidante per la vita di chi ne soffre, disabilitante a livello psico-fisico e che necessita di trovare una cura”, conclude Carloni.