(Adnkronos) – Ci sono le difficili condizioni di vita alla base delle infezioni che colpiscono i migranti nel nostro Paese: 2 su 3 si contagiano in Italia a causa di queste difficoltà. Nel caso dell’Hiv, si raggiunge il 4% di positività contro lo 0,5% della media nazionale. I dati arrivano dalla XV edizione di Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research) che si conclude oggi a Bari, e da dove parte l’appello ad approcciare, con formazione e informazione, un tema controverso: la popolazione migrante, infatti, non porta le infezioni direttamente dai loro Paesi, nonostante luoghi comuni e pregiudizi. La letteratura, infatti, ci ha insegnato come, nel caso di positività all’Hiv, circa il 60% in Europa abbia acquisito l’infezione proprio nei Paesi ospitanti.
“Tra le altre infezioni prevalenti, emerge il dato forte dei casi di sifilide, che raggiungono il 10-12% contro la media nazionale del 2%”, spiega Francesco Di Gennaro, docente malattie infettive e tropicali, Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Nel dettaglio dell’Hiv, “si parla di 3,5-4% di prevalenza di positività, rispetto a una media nazionale dello 0,5%. A causare principalmente le infezioni – continua – sono le scarse condizioni di vita, (poor living conditions), in primis, povertà e sfruttamento, come le esperienze pugliesi del caporalato e dei ghetti ci insegnano”.
Si tratta, in genere, di persone che sono stabilmente in Italia da almeno 36 mesi, per lo più giovani (con una mediana intorno tra i 24-35 anni), e provenienti da paesi africani quali Ghana, Nigeria, Mali, Guinea, Marocco e Tunisia, e asiatici, quali Bangladesh e Pakistan, per lo più addetti ai lavori nei campi. “Di base – prosegue Di Gennaro – queste persone appartengono a servizi appartenenti a una bassa soglia del welfare, quindi per questo facilmente aggredibili da una serie di fenomeni sanitari”. Per la prevenzione, però, ricorda l’esperto, “soprattutto grazie allo strumento dei test salivari, le attività degli screening sono diventate oggi più semplici e accessibili. Al contempo, i migranti si dimostrano sempre più disponibili a tali monitoraggi, dimostrando quanto tengano alla loro salute e a quella altrui”.