(Adnkronos) – Ci accompagna fin dalla nascita, cresce con noi ed è plasmato dal nostro stile di vita e dalle abitudini alimentari. E’ il microbiota intestinale, al quale piace un menù a base di pasta e dieta mediterranea per restare in salute e rallentare l’invecchiamento. Per questo va trattato bene e ascoltato. Lo sottolineano gli esperti riuniti oggi a Parma per il ciclo di incontri ‘Let’s Talk About Food & Science’. Del ruolo del microbiota intestinale e di come la dieta mediterranea – e la pasta e le verdure in particolare – possano migliorare qualità e biodiversità dei microbi che ospitiamo nell’intestino ha parlato un team multidisciplinare riunito dal Gruppo Barilla, composto da Patrizia Brigidi, professoressa di Biotecnologia delle fermentazioni all’Università di Bologna, Gian Luigi de’ Angelis, professore di Gastroenterologia dell’Università di Parma, e Francesco Visioli, professore di Nutrizione umana all’Università di Padova.
“Il microbiota intestinale è la cabina di regia di molte funzioni e aspetti del nostro organismo – spiega de’ Angelis – Modula il metabolismo del cibo che ingeriamo; sintetizza vitamine come la B12, la vitamina K e i folati; insegna al sistema immunitario a distinguere amici da nemici; ci difende da microrganismi pericolosi e produce il 70% della serotonina, fondamentale per la motilità intestinale”. Quella stessa serotonina, definita ‘ormone della felicità’, che sta a ricordarci che c’è un asse tra cervello e intestino, dove c’è una rete neuronale estremamente sviluppata. “L’asse intestino-cervello è bidirezionale – evidenzia de’ Angelis – Il microbiota ha la capacità di rilasciare neurotrasmettitori fondamentali per la regolazione del ciclo sonno-veglia e del buon umore, mentre ansia e stress possono alterare il microbiota. Quello dei soggetti depressi è caratterizzato dalla perdita di batteri benefici come il bifidus batteri. La perdita di ceppi benefici è inoltre associata a disturbi intestinali infiammatori cronici come il morbo di Crohn”.
Il microbiota cresce, diventa adulto e invecchia assieme al suo ospite – ricorda una nota – e il suo stato di salute può accelerare o rallentare i processi di invecchiamento. Con l’avanzare dell’età, l’abbondanza e la varietà dei microbi diminuiscono. E’ stato dimostrato che alterazioni nella popolazione microbica intestinale e cambiamenti nella permeabilità intestinale possono contribuire direttamente alla condizione di infiammazione cronica di basso grado, o ‘inflammaging’, che caratterizza l’invecchiamento e influisce, tra gli altri, su benessere psicofisico, anomalie metaboliche e infezioni.
“Riduzione della motilità intestinale, difficoltà di masticazione e deglutizione, inappetenza: questo declino metabolico-fisiologico può essere rallentato – rimarca Brigidi – Meglio, controbilanciato con una serie di comportamenti alimentari che influiscono sulla composizione e funzionalità del microbiota intestinale. Come sempre è meglio prevenire, con interventi sulla dieta che favoriscono la crescita e lo sviluppo di batteri ‘buoni’, quali i produttori gli acidi grassi a corta catena, che, tra le altre cose, supportano l’omeostasi del sistema immunitario , aumentano l’impermeabilità intestinale, forniscono energia all’organismo, e regolano appetito e sonno”.
Una dieta sbagliata, lo stress, una vita sedentaria cambiano e indeboliscono la biodiversità nell’intestino – è emerso dall’incontro – Vuoi per la carenza di specie benefiche o protettive, per la competizione tra specie, o per la proliferazione di ceppi potenzialmente patogeni che abbiamo inconsapevolmente favorito, possono rompere l’equilibrio del microbiota impoverendolo. Una condizione, questa, che accomunerebbe il 25% della popolazione (un italiano su 4). E così alcuni microrganismi ‘trascurati’, che non trovano nutrimento nel cibo che ingeriamo, possono ripiegare sul muco intestinale, rendendolo più vulnerabile; altre specie possono superare le cellule epiteliali e la barriera vascolare e arrivare a organi interni e tessuto adiposo, provocando infiammazione cronica, madre di molte patologie e malattie metaboliche, come le patologie cardiovascolari, l’obesità, il diabete e il cancro.
Non solo cervello e intestino si parlano, ma hanno in comune la passione per la buona tavola. Una dieta “poco varia premierà una famiglia di batteri a discapito di altre – precisa Visoli – E allora si creano i presupposti per mandare in tilt il microbiota e accendere l’infiammazione. Di certo le diete iperproteiche non aiutano i batteri ‘buoni’ del microbiota a prosperare”. L’esperto riferisce che “uno studio del Genome Institute of Singapore, condotto su soggetti adulti sovrappeso o obesi sottoposti a 4 settimane di dieta chetogenica, ha evidenziato nel microbiota una diminuzione dei bifidobatteri che aiutano la regolarità dell’intestino e il suo corretto funzionamento. Di contro, la scienza ha dimostrato i benefici della dieta mediterranea sul microbiota intestinale: uno studio pubblicato sulla rivista ‘Gut’, condotto su soggetti con un consumo abitualmente basso di frutta e verdura e uno stile di vita sedentario, ha confermato che seguire la dieta mediterranea per 8 settimane ha migliorato la composizione del microbiota intestinale, riducendo lo stato infiammatorio”.
Il nostro organismo “ama la pasta – prosegue Visoli – anche perché favorisce la crescita della ‘popolazione buona’ del microbiota, specie se associata ad altri alimenti chiave del mangiare mediterraneo, come verdure e ortaggi che, assieme alla pasta, integrale o tradizionale, contribuiscono a immettere fibre nel nostro intestino”. Nel menù del microbiota intestinale non dovrebbero mai mancare le fibre. Quelle solubili (pasta al dente) e insolubili (verdure) – puntualizzano gli esperti – stimolano la produzione e l’espansione di batteri buoni. E ancora, composti polifenolici di cui sono ricchi frutti di bosco, agrumi, cavoli, broccoli, pomodori, olio d’oliva e noci, che apporterebbero una crescita di Lactobacillus e Bifidobacterium; carciofi, asparagi, aglio, cipolla, porri, topinambur e cicoria, per il contenuto di inulina; legumi come fagioli, lenticchie, ceci, piselli e fave, per il contenuto di frutto-olisaccaridi e galatto-olisaccaridi; pinoli, nocciole, spinaci e pesce azzurro per acidi grassi omega 3, tutti alimenti che possono essere una soluzione contro l’infiammazione cronica.
A proposito di pasta, con l’arrivo dell’estate, “se consumata fredda – conclude Visoli – può avere un’ulteriore marcia in più per il microbiota. L’amido resistente della pasta con il cambio di temperatura assume una conformazione tale che si comporta esattamente come le fibre, che i batteri usano per produrre un acido grasso a catena corta come il butirrato, che controlla la permeabilità intestinale”.