(Adnkronos) – L’incapacità di guardare avanti per progettare il futuro, l’assenza di energie, l’umore che crolla e non sa risollevarsi, il senso di impotenza e di solitudine che porta a chiudersi senza riuscire a chiedere aiuto. E’ la sofferenza delle madri con depressione post-parto, la condizione che secondo le prime notizie sarebbe all’origine della tragedia di Voghera, nel Pavese, dove ieri di prima mattina una donna quarantenne ha strangolato il figlio di un anno.
Una malattia dell’anima che colpisce “il 10-15% circa delle neomamme” e che, “se non riconosciuta e trattata, nel 50% dei casi può essere presente 6 mesi dopo il parto e nel 20-25% a distanza di un anno”. Lo spiega Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria forense (Sipf), che descrive una sintomatologia “generalmente più acuta al risveglio, quando si avverte il contrasto tra un altro giorno che inizia e uno stato interiore cristallizzato sulla negatività e sulla convinzione di non poter vivere una nuova giornata”.
“La depressione post partum insorge generalmente nei 3 mesi successivi al parto ed è sovente una depressione maggiore a tutti gli effetti”, precisa Zanalda. Diversa quindi dalla cosiddetta baby blues, ovvero “una condizione di irritabilità-instabilità emotiva che colpisce 70-80% delle donne dopo nei giorni successivi al parto”. Un malessere che “dura una o 2 settimane e si risolve spontaneamente, per cui non è considerato una condizione patologica”.
Ma quali sono i segnali ‘spia’ da monitorare? “I sintomi caratteristici di grande allarme sono la mancanza di progettazione nel futuro e l’incapacità di chiedere aiuto. Sensi di colpa, depressione del tono dell’umore con i caratteristici sintomi della mancanza di energie e di provare piacere, le crisi di pianto, sentimenti di disperazione, ansia e insonnia”, elenca lo psichiatra. Come si cade un questo baratro? Perché? “Come tutti i grandi cambiamenti – analizza il presidente Sipf – la nascita di un figlio, soprattutto il primo”, anche se a lungo desiderato e cercato, “è un momento di grande transizione e sfida per la mamma. Anche la grande gioia è un notevole stress e, se la neomamma è una persona fragile dal punto di vista emotivo, ne è più difficile la gestione”.
“La maternità comporta notevoli cambiamenti fisici, psichici e di ruolo – osserva Zanalda – e può mettere a dura prova la resilienza della donna. Oltre ai cambiamenti fisici e biologici, tra cui le fluttuazioni ormonali, lo stress associato alla maternità è determinato dalla sfida nell’adattarsi al nuovo ruolo, comprese le difficoltà determinate dalla responsabilità della cura del neonato. Vi sono poi delle condizioni patologiche che insorgono in coincidenza del parto o nei 3 mesi successivi, come la psicosi peripartum o appunto la depressione post partum. A intercettare queste patologie sono sensibilizzati gli operatori sanitari del settore (ostetriche, ginecologi, pediatri, eccetera) e sappiamo quanto sia fondamentale – ammonisce lo specialista – fornire tempestivamente il supporto professionale alle mamme che ne soffrono”.