(Adnkronos) – Una malattia, vari sintomi e più organi coinvolti. È il lupus eritematoso sistemico (Les) che in Italia colpisce 21mila persone, soprattutto donne in età fertile, costrette a convivere quotidianamente con dolore articolare, manifestazioni cutanee, gonfiore delle articolazioni, febbre, stanchezza, inappetenza e anemia. “Tutti sintomi aspecifici, per questo motivo al suo esordio il lupus può essere molto difficile da individuare. Non a caso, il paziente per una diagnosi attende 20 mesi, quasi due anni che a mio avviso sono davvero troppi”. Così Gian Domenico Sebastiani, presidente della Società italiana di reumatologia (Sir) nel suo intervento alla conferenza stampa “Lupus eritematoso sistemico, le nuove opportunità di cura”, promossa oggi a Roma in occasione del World Lupus Day per fare il punto sulle importanti novità terapeutiche al momento disponibili per controllare la malattia.
Ai primi campanelli d’allarme, tra cui rash cutanei e alterazioni degli esami del sangue e delle urine, “il primo approccio – avverte Sebastiani, che è anche direttore della Uoc di Reumatologia del San Camillo – è con il medico di medicina generale che sarà in grado di riconoscere questi sintomi e dovrà inviare il paziente allo specialista reumatologo nel sospetto di Les. Il medico di famiglia dovrà anche prescrivere alcuni esami basilari di routine, come l’emocromo e l’esame delle urine”. Gli organi muscolo-sheletrico, cute, ematologico, reni, sistema nervoso centrale “sono tra i bersagli” preferiti dal “lupus eritematoso sistemico – spiega l’esperto – ma virtualmente il Les può coinvolgere qualsiasi organo e apparato del corpo umano. Per tale motivo è la patologia reumatologica ma in generale la malattia più complessa e grave che necessita di un approccio multidisciplinare, con dermatologo, ematologo, reumatologo, nefrologo, radiologo interventista, cardiologo, gastroenterologo, pneumologo, con la tecnologia che abbiamo a disposizione nei centri di riferimento all’interno delle strutture ospedaliere”.
Dopo la diagnosi “bisogna valutare quali organi sono interessati – sottolinea Sebastiani – e stabilire l’attività di malattia. Quindi prescrivere un trattamento farmacologico che oggi si basa soprattutto sull’utilizzo di glucocorticoidi che, però, hanno degli importanti effetti collaterali, soprattutto su un altro problema del Les che è l’accumulo del danno. Quindi noi dobbiamo essere bravi a ridurre l’attività di malattia senza usare troppo cortisone”. I farmaci “a nostra disposizione, tra cui l’anticorpo monoclonale anifrolumab consentono di mandare la malattia in remissione, la guarigione totale al momento non è un obiettivo raggiungibile”.