(Adnkronos) – In una famiglia dove c’è un componente con malattia rara “uno dei familiari, almeno nel 30% dei casi è costretto a lasciare il lavoro, come emerso da una ricerca che abbiamo fatto. Spesso le malattie rare richiedono accudimento in età pediatrica (70%) e la persona che lascia il lavoro è la donna. Servono dati per dimostrare come ci siano impatti non solo sulla famiglia, ma anche sul Pil”. Così Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo (Federazione italiana malattie rare), intervenendo questa mattina all’evento di presentazione del progetto ’Women in rare’ di Alexion dedicato alla centralità della donna nell’universo delle malattie rare.
“I percorsi di diagnosi, cura e sostegno per i malati e per i loro familiari – osserva la presidente Uniamo – dipendono in gran parte dalla Regione in cui si risiede. Ecco perché occorre più che mai un maggior raccordo sul territorio per cambiare la vita quotidiana delle persone con malattia rara attraverso una migliore assistenza socio-sanitaria e domiciliare. Un cambiamento che – aggiunge – per il ruolo della donna, sia come caregiver sia come lavoratrice, deve passare da interventi strutturali che garantiscano il diritto di scelta. Ciò significa facilitazioni per part time e smart working accompagnate da assistenza domiciliare che possa consentire anche una scelta lavorativa. Iniziative come ‘Women in rare’, con il contributo delle associazioni che si occupano di malattie rare, vanno proprio in questa direzione”.
“La stessa legge sul caregiver – riflette Scopinaro – considera solo un aspetto retributivo, previdenziale senza lasciare il diritto di scelta. Questo lavoro” portato avanti nel progetto ‘Women in rare’, “servirà di supporto al Tavolo interministeriale per i caregiver” che si costituirà, “ per implementare la bozza della legge messa a punto dal precedente governo”.
Nel mondo delle malattie rare “le associazioni – continua la presidente di Uniamo – sono composte da donne che, pur avendo lasciato il lavoro, trovano, nonostante tutto, il tempo di dedicarsi agli altri perché conoscono l’importanza di una rete per far fronte ai bisogni. Ricordo una mamma che per 14 anni è praticamente restata a casa con il figlio malato, uscendo solo per fare la spesa a un chilometro di distanza. Negli Stati del Nord Europa tendenzialmente c’è più attenzione alle famiglie. In Danimarca, ad esempio, c’è un sistema di presa in carico dei bambini con disabilità con anche una rete di volontariato per dare ai genitori almeno una settimana all’anno per andare in vacanza da soli”.
Le donne e le famiglie hanno bisogno di sostegno. “Abbiamo una sanità che solo in casi molto gravi dà cure in casa – sottolinea Scopinaro – Serve una capillarità di assistenza che parta dal domicilio e lo sviluppo di strutture intermedie per lasciare il proprio figlio in mani affidabili per qualche ora o giorno, in casco di necessità”. Inoltre, “il supporto psicologico alla diagnosi e successivamente è improntate. Vale per le mamma, ma anche per papà e fratelli – riflette -. Una malattia rara ha un impatto su tutta la famiglia che non è presa in carico”. Le donne caregiver, in particolare, tendono a trascurarsi. “Non so quante mamme ho visto morire di tumore dopo la diagnosi di malattia rara del figlio – ricorda -. Possono aver psicosomatizzato, ma anche evitato controlli. Se la donna sta male, un’intera famiglia e un intero sistema crolla. Come associazione partiremo con un progetto di supporto psicologico – annuncia – e pensiamo a percorsi per dire alle donne di prendersi cura di se stesse”.
L’impatto è anche nella vita di coppia. Non solo per le “problematiche complesse legate alla fertilità, visto che la possibilità di trasmettere la malattia da parte della donna è del 50%. Una malattia rara può portare a una separazione delle coppie – spiega la presidente di Uniamo – ma quelle che rimangono sono più unite e la componente maschile, tendenzialmente, si batte nel richiedere aiuto. Noto però che la maggior parte delle famiglie nuove ha meno il concetto di rete, associazione: lottano per un diritto individuale”.