(Adnkronos) – L’emergenza denatalità è una crisi sociale ma anche biologica. L’inquinamento atmosferico e quello elettromagnetico, uniti a stili di vita poco sani, stanno danneggiando irreparabilmente il patrimonio genetico degli spermatozoi, compromettendo le probabilità di concepimento dell’uomo e rendendolo più suscettibile alle malattie. Con danni che aumentano nel tempo. Così già dai 35 anni in su, i danni accumulati possono impedire il concepimento o aumentare le probabilità di trasmettere ai figli difetti genetici ed epigenetici che favoriscono patologie nell’infanzia, nell’età adulta e addirittura alle successive generazioni. A tracciare il quadro Luigi Montano, Uroandrologo della Asl di Salerno e past president della Società italiana di riproduzione umana (Siru), alla vigilia del suo intervento agli Stati Generali della Fertilità, domani a Roma.
Considerando questi dati “annunci come quello fatto di recente dall’attore Robert De Niro, diventato padre a 79 anni possono essere ingannevoli e fuorvianti”, dice Montano. “Oggi è riduttivo pensare che solo misure economiche possano contrastare l’attuale emergenza denatalità”, sottolinea. “La nostra società è in crisi perché è la nostra stessa biologia a esserlo. Siamo arrivati a un punto critico, tanto che nel 2070 se il trend del numero e soprattutto della qualità spermatica continua ad avere la pericolosa discesa rilevata da diversi studi l’ipotesi dell’estinzione della nostra specie per infertilità maschile irreversibile non è affatto da scartare”.
Le cause sono molteplici, ma l’effetto è unico: “l’uomo diventa progressivamente incapace di concepire, tanto che stando all’ultima metanalisi del novembre 2022 pubblicata su Human Reproduction Update negli ultimi 46 anni, dal 1973 al 2018, la concentrazione degli spermatozoi a livello globale è più che dimezzata (51.6%), con un’accelerazione della perdita di spermatozoi per anno raddoppiata dal 2000 al 2018 rispetto al periodo 1973-2000. Ciò che più preoccupa è il calo rapido che è avvenuto e sta avvenendo in paesi una volta ritenuti ad alta fecondità, come Africa, Brasile, India, Cina, tutti paesi che negli ultimi due-tre decenni stanno registrando importanti tassi di inquinamento ambientale e importanti modifiche degli stili di vita della popolazione residente”, si legge in una nota.
“E’ evidente che rispetto a questi fattori cumulativi di danno riproduttivo sono necessarie azioni decise nel brevissimo termine, basate su politiche innovative sul fronte educativo e sanitario e soprattutto un’accelerazione verso l’ecoriconversione del pianeta per ridurre i tassi di inquinamento”, propone Montano. Sul fronte dell’età, invece, “si può ad esempio prevedere una sorta di bonus maggiorato, un Superbonus, o comunque incentivi e sostegni molto più importanti di quelli finora proposti per coloro che mettono al mondo anche più figli (almeno 2) nella fascia d’età 18-32 anni, la migliore età biologica riproduttiva. In sintesi un sostegno crescente in base al numero di figli e soprattutto sull’anticipazione del primo figlio”,, dice Montano.
Il vantaggio – spiega una nota – di incentivare l’abbassamento dell’età di concepimento sono duplici: da un lato le coppie avranno più tempo per pianificare un’ulteriore gravidanza nella loro migliore età biologica e contribuire ad accelerare la risalita demografica del paese di cui si sconta un ritardo di almeno due decenni, dall’altro si potranno prevenire tutte quelle patologie che sembrano essere sempre di più associate agli effetti cumulativi dell’età avanzata con quelli ambientali e dei cattivi stili di vita che di fatto inducono un invecchiamento precoce dei gameti con alterazioni epigenetiche e genetiche ereditati sin dal concepimento e che esitano non solo in difficoltà di concepimento, maggiore incidenza di patologie ostetriche e neonatali, ma anche patologie del neurosviluppo sempre più frequenti, tumori nell’infanzia, in età adulta e addirittura nelle successive generazioni.
Nel frattempo l’attenzione dei ricercatori è sempre più focalizzata nel determinare in maniera più precisa e accurata il ruolo dell’inquinamento sulla salute riproduttiva. Nell’ambito del progetto di ricerca EcoFoodFertility, coordinato da Montano, sono state rilevate evidenze della presenza anche di altri contaminanti emergenti oltre quelli già descritti negli studi precedenti nel liquido seminale. “In un nuovo studio, in corso di pubblicazione, abbiamo rilevato la presenza di microplastiche nel liquido seminale. Si tratta di un’ulteriore prova di quanto profondamente siamo inquinati e quanto anche questi contaminanti emergenti come i residui della plastica possono minacciare il sistema riproduttivo. L’infertilità maschile è dunque un’emergenza globale che mette a repentaglio la salvaguardia della specie umana – conclude Montano – ma sulla quale non vi è ancora piena consapevolezza in ambito politico e sanitario”.