(Adnkronos) – Sono nati “con una ‘Ferrari’ tra le mani – smartphone che li connettono al mondo e li espongono anche a rischi globalizzati – ma non hanno ancora gli strumenti per poter controllare pienamente il mezzo. Non sono fisiologicamente pronti”. E’ così che la Gen Z sperimenta sfide social anche pericolose. “Molte di queste sono legate al cibo”. Come l’ultima moda che spopola da qualche mese online, cioè la ‘Hot Chip Challenge’, che consiste nel mangiare una patatina super piccante, senza bere o cercare di attutire il colpo. Una sfida che, sempre secondo quanto segnalato sui social, avrebbe provocato anche malori e alla quale possono accedere i minori, visto che il prodotto viene venduto (in una confezione a forma di bara) anche su Internet. “Fra gli studenti italiani di 11-17 anni circa 243mila hanno partecipato almeno una volta a social challenge, il 6,1%”, segnala all’Adnkronos Salute Claudia Mortali, prima ricercatrice del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità.
Sul cibo le sfide social “sono molto diffuse – evidenzia l’esperta – Ce ne sono tante anche importate dall’America e da altri Paesi. Sono mode e la globalizzazione in questo è fortissima. Basta infatti che i ragazzi vedano il video perché superino i confini. Il cibo ha sempre un impatto abbastanza forte, perché la sfida è più facile da fare, per la semplicità del materiale su cui si basa. Si può acquistare qualsiasi cosa e apparentemente sembra meno pericolosa che per esempio buttarsi da un piano alto dentro una piscina. Magari la finalità iniziale di chi entra in queste sfide è quella di far ridere, nella loro idea il rischio non è così grande e si pensa di poterlo tenere sotto controllo. Tutt’al più si pensa di poter avere un disagio momentaneo”.
I numeri sulle social challenge citati da Mortali sono quelli di una “ricerca condotta con il finanziamento delle Politiche antidroga, per indagare sulle dipendenze comportamentali” dei ragazzi. “La social challenge non è una dipendenza – precisa – ma è un comportamento sicuramente pericoloso, legato a un uso distorto del cellulare e dei social, e molto connesso a comportamenti di dipendenza”. E infatti “più si è a rischio” di sviluppare dipendenza “e più si fanno anche queste sfide. Abbiamo visto infatti – riporta l’esperta – che tutti coloro che avevano dei comportamenti già problematici rispetto” al tema delle dipendenze comportamentali “praticavano le social challenge in misura maggiore rispetto a coetanei che non avevano questo rischio”. Per esempio, “se fra gli 11-13enni, ragazzi delle scuole medie, fa social challenge circa un 7% di chi non ha il rischio, questa percentuale arriva fino al 20-23% fra gli studenti che questo rischio di dipendenza e ritiro sociale ce l’hanno. Molti di più, dunque”.
“E abbiamo anche osservato – prosegue Mortali – che i ragazzi che praticano social challenge hanno il doppio del rischio di diventare dipendenti da social media o videogame, e addirittura il triplo di avere un problema di ritiro sociale”. Il fenomeno delle sfide tra l’altro è più diffuso fra gli 11-13enni, mentre sembra leggermente scemare fra i più grandi, nella fascia 14-17. “Il fattore imitazione dei pari è molto forte – rimarca l’esperta Iss – e apre ad azioni che effettivamente possono sfuggire al controllo del singolo, e poi anche dei genitori”. Per lo studio sulla Gen Z sono stati intervistati nell’autunno 2022 più di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni, 3.600 circa delle scuole secondarie di primo grado e 5.100 circa delle secondarie di secondo grado su tutto il territorio nazionale, in modo da avere un campione rappresentativo della popolazione.
“Il Paese risulta un po’ spaccato nel livello di gravità dei disturbi, cioè la prevalenza delle varie problematiche è sempre maggiore al Sud e nelle Isole”, osserva Mortali. Pensando sia alle dipendenze che alle social challenge, continua, “è chiaro che bisogna anche ricordare che i ragazzi in queste fasce d’età non sono ancora pienamente consapevoli di quello che fanno. Per avere una maggior capacità di resistere a questi comportamenti e impulsi, bisogna aspettare che il cervello sia pienamente formato e fino a 24 anni circa il lobo prefrontale non ha ancora terminato lo sviluppo. Nel frattempo, gli strumenti che i giovanissimi hanno a disposizione offrono ampie possibilità. Se il gioco in sé e per sé è una pratica utile allo sviluppo, il problema è che questa globalizzazione della possibilità di mostrare una cosa apparentemente divertente aumenta il rischio che possano fare cose pericolose”.
Sulla patatina ultra piccante è partito un esposto dell’Unione nazionale consumatori, inoltrato a ministero della Salute, Nas, Istituto superiore di sanità e Antitrust. Rispetto al cibo c’è anche un altro problema, fa notare l’esperta: “Usato in un certo modo – avverte Mortali – può essere strumento di dipendenza e correlarsi a disturbi alimentari. Quindi sappiamo che si possono innescare tante altre problematiche”.
L’invito ai genitori è a non lasciare i figli troppo soli con i loro smartphone, “e vale non solo per le social challenge. Da monitorare è il tempo che passano con questi strumenti perché la quantità di tempo è proporzionata al rischio, secondo ciò che vediamo nelle indagini. Ed è tempo sottratto ad attività importanti per la crescita, come anche semplicemente il dormire, lo studio, le relazioni con gli altri, il coltivare altre passioni. Occorre poi, naturalmente – suggerisce ancora l’esperta dell’Iss – cercare anche di mantenere un rapporto vivo e un colloquio con i propri figli, che permetta di potersi accorgere se qualcosa non va, se stanno facendo qualcosa di pericoloso. Tutto questo capitolo ha bisogno di grande attenzione e dobbiamo capire come prevenire l’uso distorto. Possiamo negare il cellulare e la possibilità di creare account prima di una certa età, ma poi, arrivati al momento in cui si accede al mezzo, bisogna insegnare a usarlo bene. Perché i pericoli sono tanti”.