(Adnkronos) – Arriva in Italia una nuova opzione terapeutica da aggiungere alla strategia messa in campo contro il tumore al polmone non a piccole cellule (Nsclc) in fase iniziale: anche nel nostro Paese l’anticorpo monoclonale atezolizumab sviluppato da Roche è ora disponibile come immunoterapia in adiuvante per i pazienti con la malattia in stadio precoce, a seguito dell’autorizzazione alla rimborsabilità da parte dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa, pubblicata in Gazzetta Ufficiale a luglio.
L’approvazione italiana, che segue quella europea dello scorso anno, si basa sullo studio globale di fase 3, multicentrico, IMpower010, i cui risultati hanno dimostrato che il trattamento con atezolizumab in adiuvante, dopo resezione completa e chemioterapia a base di platino, ha ridotto il rischio di recidiva della malattia o di morte del 57% nei pazienti con Nsclc in stadio II-IIIA con alta espressione della proteina PD-L1 e in assenza di mutazioni di Egfr o riarrangiamenti di Alk, rispetto alle migliori terapie di supporto. Da tempo gli specialisti, ricercatori e clinici, si misuravano con la sfida posta dall’alto tasso di recidive: circa il 60% dei pazienti in stadio II e il 75% dei pazienti in stadio III infatti presentano una ricaduta a 5 anni dall’intervento. “Un evento frequente anche per i pazienti in stadio precoce completamente resecati e un momento devastante nel percorso di cura”, ammette Silvia Novello, professore ordinario di Oncologia medica, università degli Studi di Torino e presidente dell’associzione Walce Onlus, oggi durante un incontro promosso da Roche a Milano.
“Qui l’obiettivo cambia completamente: stiamo parlando di una popolazione di pazienti potenzialmente guaribile. Parola che non viene mai menzionata nella malattia in stadio avanzato, per la quale si parla invece di cura”. Con l’obiettivo dunque di rendere questi stadi di malattia “realmente guaribili – prosegue Novello – la ricerca punta pertanto alla riduzione della percentuale di recidive, sempre nel rispetto della qualità di vita del paziente. L’immunoterapia si è rivelata un ottimo mezzo per raggiungere questo scopo. Fermo restando che la chirurgia rimane l’elemento fondamentale, si punta a migliorare la possibilità di guarire e aumentare il tempo libero da malattia”.
Fondamentali, avvertono gli esperti, sono la “diagnosi precoce” e la presa in carico del paziente in fase iniziale da parte di un team multidisciplinare che, insieme all’oncologo, si riunisce per discutere, valutare insieme la situazione e garantire la scelta del trattamento migliore. E comprende anche lo psiconcologo. “Attualmente radiologi, medici nucleari, pneumologi interventisti e chirurghi toracici valutano l’operabilità o meno dei tumori polmonari Nsclc negli stadi precoci, considerando che la chirurgia con intento curativo è ad oggi l’opzione standard di trattamento per una prognosi migliore”, spiega Filippo de Marinis, direttore della Divisione di oncologia toracica dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e presidente Aiot (Associazione italiana oncologia toracica).
Dopo l’intervento, entra in gioco il patologo che identifica lo stadio della malattia resecata, una guida per gli eventuali trattamenti adiuvanti di chemioterapia. “Con la rimborsabilità di atezolizumab, il patologo può eseguire il test del PD-L1”. Se presente un’iperespressione di questa proteina, “negli stadi patologici II-III selezionati si potrà praticare dopo 2 mesi di chemio standard un’immunoterapia per 1 anno. Questa opzione consente di ridurre il rischio di morte di oltre il 58% e di aumentare la sopravvivenza a 5 anni del 18% rispetto alla sola chemio”, evidenzia de Marinis. “Qual è l’impatto? A 5 anni i pazienti che hanno aggiunto l’immunoterapia alla chemioterapia sono vivi nell’88% dei casi”.
L’indicazione richiede quindi un aggiornamento della strategia di cura e del percorso del paziente oncologico polmonare. “E deve entrare nella testa di tutte le figure interessate che devono lavorare tutte insieme e girare attorno al paziente, sul caso singolo, prendendo le migliori decisioni condivise”, ammonisce Saverio Cinieri, presidente nazionale Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), citando la Breast Unit per il cancro al seno come modello. Quindi l’idea di Lung Unit, o comunque di collaborazione nella presa in carico del paziente, che permetta di “valutare fin da subito la fattibilità della terapia in adiuvante”, osserva Federico Rea, direttore Divisione chirurgia toracica e Centro trapianto polmone, Policlinico universitario di Padova. “Oggi il percorso di questi pazienti prevede infatti un’integrazione dei trattamenti. La novità di atezolizumab segna un cambio di passo”, per “risultati più efficaci, indipendentemente dal tipo di intervento chirurgico effettuato sul paziente, presentando al contempo una tollerabilità al farmaco migliore rispetto alla sola chemioterapia”.
Serve adesso un “cambio culturale”, concordano tutti gli esperti. “E’ chiaro che non in tutti gli ospedali possiamo creare una chirurgia toracica. Probabilmente però un sistema di hub che colloquia con le realtà più periferiche sì”, precisa Rea. Il fattore diagnosi precoce, con l’avvento di nuove armi terapeutiche, assume poi un significato diverso e più importante. “Con lo screening, trovando un tumore molto piccolo, noi chirurghi possiamo fare un intervento molto limitato”, conferma Rea. Questi messaggi su cosa vuol dire oggi trattare un tumore, sulle prospettive, sull’importanza dello screening e ancora prima di stili di vita che escludano per esempio il fumo, vanno veicolati ai pazienti, ai vari specialisti e ai medici di famiglia.
L’impatto delle recidive in oncologia è notevole anche in termini organizzativi per il sistema sanitario e poter ridurre il tasso di ripresa di malattia, in questo caso nel tumore del polmone, comporta benefici in primo luogo per i pazienti ma anche per il sistema in ottica di sostenibilità”, aggiunge Cinieri che parla anche del ruolo strategico dei trial clinici e dei programmi di cure compassionevoli, quindi della collaborazione con le aziende farmaceutiche.
“Nel mondo ogni 14 secondi viene diagnosticato un tumore al polmone, che è uno dei più diffusi e dei più aggressivi – osserva Anna Maria Porrini, direttore medico di Roche Italia – Quanto prima si interviene con una diagnosi precoce, quanto più si possono migliorare, con i trattamenti, gli outcome clinici e la qualità di vita dei pazienti. E’ per questo che molti degli sforzi in ricerca e sviluppo di Roche si stanno concentrando proprio su questo setting, dove la chirurgia e le eventuali terapie associate hanno come ambizione la cura. Accanto agli avanzamenti terapeutici, è necessario anche ottimizzare gli attuali percorsi di diagnosi e cura, nel loro complesso. Nasce con questo obiettivo il programma LungLive. Attraverso sinergie e partnership con la comunità scientifica, le associazioni di pazienti e tutti gli attori del sistema salute, vogliamo contribuire a ridefinire insieme il tumore al polmone, dando priorità ad alcuni ambiti di intervento quali: la prevenzione primaria, lo screening polmonare, la diagnosi precoce e l’accesso all’oncologia di precisione”.