(Adnkronos) – “Il tumore è una malattia sociale. che coinvolge la famiglia e i caregiver: il dialogo, quindi, non è solo con il paziente ma ha l’obiettivo di raggiungere più persone per essere veramente efficace. Parlare con diversi soggetti contemporaneamente determina, però, anche maggiori difficoltà, perché ci si trova spesso davanti a differenti livelli di cultura e di comprensione. Per questo motivo, sin dal primo incontro, occorre capire qual è la strada di accesso alla comunicazione migliore, perché ogni comunicazione è diversa dall’altra”.
Così Maurizio Cantore, oncologo presso Asst di Mantova ad Alleati per la Salute, il portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis, si sofferma sul tipo di dialogo da adottate durante il percorso diagnostico e terapeutico. Soprattutto quando si tratta di affrontare “momenti difficili, come una prima diagnosi di tumore o una recidiva”, l’approccio del medico – sottolinea l’esperto – “ha un forte impatto sul benessere del paziente, sulla sua capacità di reazione e di portare avanti con costanza le terapie”.
Oltre al coinvolgimento del nucleo familiare, o di chi supporta il paziente nell’affrontare le cure, l’oncologo – secondo Cantore – al fine di “impostare una relazione proficua, sin da subito non deve illustrare in maniera puntuale tutte le tappe della terapia, ma trasmettere un messaggio fondamentale: non saremo mai soli”. Questa espressione è un chiaro indizio della modalità con cui va gestita tutta la comunicazione con il paziente e i suoi familiari, che Cantore chiarisce attraverso la considerazione che “l’accoglienza iniziale parte dalla prima persona plurale” e dal mostrarsi non solo come oncologo, ma come persona capace di provare emozioni e di partecipare attivamente al percorso del paziente.
“Chi ha una diagnosi di tumore metastatico immediatamente cerca di rimuovere lo sguardo verso il futuro -ancora Cantore – non declinando più i tempi al futuro” ma rifugiandosi nel tempo passato, visto come uno spazio più rassicurante rispetto al presente con una difficile diagnosi. “L’oncologo deve quindi impegnarsi ad aprire una finestra verso il futuro”, servendosi il più possibile proprio di questo tempo verbale.
Non è tutto: “Bisogna far capire che molte patologie, fra cui la malattia metastatica mammaria – conclude Cantore – non guariscono ma si passa da una fase di non guarigione a una fase di cronicizzazione. Anche il tumore, infatti, merita un trattamento cronico così come accade con tante altre patologie comuni, come l’ipertensione”. La malattia resta, ma viene affrontata con trattamenti personalizzati che riescono ad allungare il tempo a disposizione ma anche a offrire la migliore qualità di vita possibile. E una buona comunicazione deve puntare a trasmettere anche questo nuovo, incoraggiante messaggio.
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