(Adnkronos) – Nelle pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente, l’anticorpo monoclonale dostarlimab determina un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo nella sopravvivenza libera da progressione (end point primario). Lo rivela lo studio Ruby, di fase 3, l’unico trial di prima linea a mostrare un miglioramento della sopravvivenza, in assenza di progressione, da parte di una terapia immuno-oncologica in combinazione con la chemioterapia, attualmente lo standard di cura in questo carcinoma.
Sulla base di questi risultati – spiega Gsk in una nota diffusa oggi – la farmaceutica prevede di inoltrare alle agenzie regolatorie la richiesta della nuova indicazione dell’anticorpo monoclonale nella prima metà del 2023. A proposito di questioni regolatorie, l’azienda informa contestualmente che l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha accolto la domanda di approvazione all’immissione in commercio per momelotinib, un potenziale nuovo trattamento orale per la mielofibrosi, un raro tumore del sangue.
Il cancro dell’endometrio, cioè del rivestimento interno dell’utero, è il secondo tumore ginecologico più comune a livello globale. Circa il 15-20% delle donne arriva alla diagnosi con una malattia avanzata. Lo studio Ruby/Engot-En6/Gog3031/Nsgo ha confrontato l’impiego di dostarlimab più chemioterapia standard (carboplatino-paclitaxel) seguita dal solo dostarlimab, rispetto alla chemioterapia seguita da placebo, in pazienti adulte con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente. I risultati evidenziano un miglioramento sia in termini di sopravvivenza libera da progressione (Pfs), sia un significativo vantaggio statistico e clinico nella riparazione dei danni del Dna – il mismatch (dMmr)/alta instabilità dei microsatelliti (Msi-H) – nel sottogruppo di pazienti e nella popolazione complessiva. E’ stato inoltre osservato anche un beneficio clinicamente rilevante nella sopravvivenza libera da malattia nel sottogruppo di pazienti con capacità di riparazione del mismatch (Mmrp)/stabile con microsatelliti (Mss).
Sulla sopravvivenza globale, dati non ancora disponibili al momento di questa analisi, si è osservata una tendenza favorevole nella popolazione complessiva, inclusi i sottogruppi dMmr/Msi-H e Mmrp/Mss. Il profilo di sicurezza e tollerabilità si è dimostrato in linea con gli studi clinici con regimi simili. Gli eventi avversi più comuni emersi dal trattamento sono stati nausea, alopecia, affaticamento, neuropatia periferica, anemia, artralgia, costipazione e diarrea.
“I pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente hanno opzioni di trattamento limitate – afferma Hesham Abdullah, senior vice president, Global head of Oncology development, Gsk – I risultati a lungo termine rimangono insufficienti e sono necessarie nuove opzioni terapeutiche per migliorare l’attuale standard di cura. Sulla base di questi risultati positivi dello studio Ruby di fase 3 – aggiunge – Gsk intende chiedere l’approvazione dalle autorità regolatorie di una nuova indicazione per dostarlimab nel trattamento della malattia primaria avanzata o recidivante del tumore endometriale”. La richiesta è prevista nella prima metà del 2023. I risultati completi della sperimentazione saranno pubblicati e presentati nel corso di un prossimo convegno scientifico.
Lo studio Ruby fa parte di una collaborazione internazionale tra la rete europea di sperimentazione ginecologica oncologica (Engot), una rete di ricerca della Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) composta da 22 gruppi di sperimentazione di 31 paesi europei, e la Fondazione Gog, organizzazione senza scopo di lucro dedicata alla trasformazione dello standard di cura in oncologia ginecologica. Sul fronte della mielofibrosi l’azienda informa, in una nota, l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha accettato la domanda di approvazione di momelotinib, un potenziale nuovo trattamento orale per la mielofibrosi. Attualmente il farmaco non è approvato in nessun mercato e si candida ed essere l’unico farmaco contro le manifestazioni chiave della mielofibrosi, tra cui anemia e splenomegalia. Momelotinib ha un meccanismo d’azione differenziato, con capacità inibitoria lungo tre vie di segnalazione chiave della crescita tumorale: Janus chinasi (Jak) 1 e Jak2 e recettore dell’attivina A di tipo I (Acvr1), che potrebbe rispondere alle esigenze dei pazienti affetti da mielofibrosi con anemia.
L’autorizzazione dell’Ema si basa sui risultati dei principali studi di fase 3, incluso quello cardine (Momentum), che ha soddisfatto tutti gli endpoint primari e secondari chiave, tra cui il punteggio totale dei sintomi (Tss), il tasso di indipendenza dalla trasfusione (Ti) e il tasso di risposta splenica (Srr). I dati dell’analisi primaria dello studio Momentum sono stati presentati all’ultimo meeting dell’American society of clinical oncology (Asco) e al congresso della European hematology association (Eha). I dati aggiornati a 48 settimane saranno presentati, tra pochi giorni, al prossimo meeting dell’American Society of Hematology (Ash) in programma dal 10 al 13 dicembre.
Entro la fine del 2023 è previsto il parere del Comitato per i prodotti medicinali per uso umano (Chmp), mentre la richiesta di commercializzazione è attualmente in fase di revisione da parte dell’Agenzia regolatoria statunitense Food and Drug Administration (Fda).