(Adnkronos) – Meno spreco di cibo nelle case degli italiani: nella pattumiera finiscono 75 grammi di cibo a testa al giorno per un totale di 524,1 g settimanali ovvero il -12% rispetto all’indagine dello scorso anno. Nella classifica degli sprechi, in testa c’è la frutta. Il tutto per un valore di 6,48 miliardi di euro cui si aggiunge lo spreco di filiera per un totale di circa 9 miliardi. Questa la fotografia del report ‘Il caso Italia’ 2023 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability, diffuso in occasione della decima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, per iniziativa della campagna Spreco Zero di Last Minute Market e dell’Università di Bologna, su monitoraggio Ipsos.
Secondo i nuovi dati, che si riferiscono al mese di gennaio 2023, gettiamo in media 524,1 grammi pro capite a settimana, ovvero circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui: circa il 12% in meno rispetto alla medesima indagine del 2022 (595,3 grammi settimanali). Si spreca di più al Sud (+8% rispetto alla media nazionale) e nelle famiglie senza figli (+38%).
“Vale complessivamente 6,48 miliardi di euro lo spreco del cibo solo nelle nostre case, alla luce dei dati di gennaio 2023 – spiega il fondatore Spreco Zero, l’agroeconomista Andrea Segrè – Una cifra che aumenta se teniamo conto anche del valore energetico del cibo sprecato: relativamente al 2022, vale 5,151 miliardi euro e porterebbe così il costo economico dello spreco alimentare domestico italiano a 11,63 miliardi di euro. Solo due anni fa, nel 2021, il valore energetico del cibo sprecato era di 1,945 miliardi di euro, l’impennata mondiale dei costi dell’energia ha comportato un aggravio di oltre il 150% (3,205 miliardi, a livello italiano), malgrado una lieve flessione nello spreco domestico nazionale”.
Ma c’è un dato ulteriore da aggiungere, ed è quello relativo allo spreco di filiera, fra perdite in campo e sprechi nella catena dell’industria e della distribuzione del cibo. “Nel 2022 – aggiunge Luca Falasconi, coordinatore del Rapporto ‘Il caso Italia’ 2023 – sono andate sprecate nella filiera italiana oltre 4 milioni di tonnellate di cibo (per la precisione 4.240.340 tonnellate), per un valore complessivo nella filiera italiana dello spreco di 9.301.215.981 euro”, dal campo alla tavola. I dati di filiera sono una elaborazione del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna e di Last Minute Market da Borsa Merci Bologna 2023.
Secondo l’indagine 2022 Waste Watcher ‘Il caso Italia’ 2023, dedicata come sempre allo spreco alimentare e alle abitudini di fruizione e gestione del cibo, tra gli alimenti più spesso sprecati svettano la frutta fresca (3,4 grammi al giorno) e il pane (2,3 g): in un anno poco più e poco meno di 1 kg pro capite. Nella top 5 anche insalata, verdure, aglio e cipolle. D’altra parte, rispetto a due anni fa e a parità di budget destinato alla spesa alimentare, quasi 1 italiano su 3 presta attenzione alla riduzione del consumo di carne (26%), e 4 italiani su 10 quando fanno la spesa ragionano sulla base di promozioni e offerte, ma anche sulla base della sostenibilità di produzione e consumo del cibo (27%). Ci si lascia fidelizzare più dal brand di prodotto delle location di acquisto (il 23% sceglie prodotti marchiati dalla distribuzione in cui fanno la spesa), che non dalle grandi marche, in calo del 10% nell’interesse dei consumatori. Stabile la soglia di acquisto online, piccolo aumento per il biologico (+14%), così come per gli acquisti nei negozi rionali (+14%).
Su cosa si risparmia, dunque? Un italiano su 2 (47%) ha ridotto le spese per lo svago, e cerca di tagliare sui costi della bolletta di energia elettrica (46%) e gas (39%), ma anche sull’abbigliamento (42%). Il 18% dichiara di tagliare sulla spesa, l’extrema ratio riguarda i tagli alle cure personali (17%) e alla salute (11%). ‘Risparmio’ non è più la parola chiave nei comportamenti degli italiani, solo il 7% dichiara di metterla al primo posto nei comportamenti di acquisto: prevale piuttosto un approccio al cibo ‘pragmatico’, per 6 italiani su 10, e l’attenzione alla ‘qualità’ per il restante 32%.