(Adnkronos) – Un approccio integrato tra diversi usi, ovvero che ricomprenda infrastrutture per il riuso, gestione sostenibile delle acque meteoriche, recupero energetico e di materia; l’introduzione di parametri di verifica delle capacità gestionali; aggregazioni tra aziende per ridurre la frammentazione; trasferimento alle Regioni delle funzioni nei territori inadempienti. Questa, in sintesi, la Riforma del servizio idrico delineata da Utilitalia, federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente e dell’energia. Obiettivo: “Quota 100: 100 euro all’anno di investimenti pro capite, 100 gestori di media-grande dimensione”.
Filippo Brandolini, presidente Utilitalia, spiega all’Adnkronos le proposte della federazione per un Servizio Idrico 3.0, annunciate nel corso del Forum Acqua di Legambiente. Proposte che prendono le mosse da due motivazioni principali: “La prima è legata al fatto che il servizio idrico non ha ancora completato il percorso di messa a regime ipotizzato con la legge Galli, ovvero in alcune realtà del nostro Paese non si è ancora istituito il servizio idrico integrato e non si sono realizzate le gestioni per ambito; la seconda ragione è collegata ai cambiamenti climatici che stanno sottoponendo a forte stress il servizio idrico, come altre attività umane, per cui riteniamo necessario avere un diverso approccio, una visione globale e coordinata della risorsa superando le visioni settoriali”.
Tra gli obiettivi della riforma, come detto, quota 100 euro di investimenti per abitante. Dal 2012 gli investimenti nel settore sono aumentati del 227%, arrivando a 4 miliardi annui e 56 euro pro capite. “Un incremento realizzato grazie al fatto che il servizio idrico è stato sottoposto ad una regolazione che ha dato maggiore certezza, sia ai territori sia agli operatori, sulla realizzazione degli investimenti. Noi puntiamo ad arrivare a 100 euro pro capite per allinearci alla media europea, un livello che corrisponde al fabbisogno di investimenti per il mantenimento delle infrastrutture e per realizzarne di nuove, necessarie per fronteggiare i cambiamenti climatici (per trattenere l’acqua, di interconnessione di reti idriche, ecc…)”, dice.
Le proposte di Utilitalia sono sintetizzate in quattro punti: garantire l’immediato trasferimento alle Regioni dell’esercizio delle funzioni nei territori inadempienti; introdurre parametri di verifica della capacità gestionale; favorire ambiti più ampi e aggregazioni; prevedere un approccio integrato che comprenda riuso, gestione sostenibile delle acque meteoriche e drenaggio urbano.
Quest’ultimo punto riporta ad una necessaria azione di adattamento alla crisi climatica cui si collega la ridotta disponibilità idrica, si stima negli ultimi 30 anni un 20% in meno rispetto al periodo 1921-1950. Ampio, in questo contesto, il potenziale del riuso. “Noi riteniamo che l’economia circolare sia un principio applicabile anche alla gestione della risorsa idrica e il riuso è un elemento centrale”, spiega Brandolini. Di cosa si tratta? “Acque impiegate per i vari usi civili sono sottoposte a processi di depurazione in modo da raggiungere livelli qualitativi per cui possono essere restituite all’ambiente. Quindi si tratta di acque depurate che non provocano inquinamento e che sono ricche di nutrienti come fosforo e azoto che possono essere utili per l’agricoltura; una opportunità poco sfruttata nel nostro Paese dove solo il 4% delle acque depurate viene impiegata a fini di riuso agricolo mentre il potenziale, secondo stime Arera, potrebbe essere del 23%”, aggiunge.
In conclusione, “per avere una gestione della risorsa idrica di qualità, moderna, sicura per i cittadini e per l’ambiente occorrono delle gestioni industriali che abbiano capacità, a partire da quelle finanziarie, per realizzare investimenti e utilizzare le migliori tecnologie disponibili. Per questo è importante andare verso il superamento delle gestioni in economia, per avere grandi soggetti industriali. Superiamo le ancora troppo numerose gestioni in economia e andiamo verso le 100 gestioni industriali che abbiano le caratteristiche per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici”.