(Adnkronos) –
Destinazione transizione verde, ovvero decarbonizzare ora o mai più. Solo così si farà fronte alla grande crisi climatica. Tutto è in discussione: dove abitiamo, che cosa e come lo produciamo, quanto e come ci spostiamo, che cosa e quanto mangiamo, persino il nostro linguaggio e il modo in cui prendiamo decisioni insieme. Se n’è parlato nel corso dello european colloquium ‘La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa)’ organizzato da Istud Business School, diretta da Marella Caramazza, la più antica business school privata italiana, tra le prime a occuparsi di green economy (media partner AdnKronos che ha trasmesso in diretta live l’evento). L’incipit del confronto dal libro ‘La Transizione Ecologica (raccontata da chi la fa)’, curato dal chairman Maurizio Guandalini, edito da Istud Business School, che fotografa la situazione italiana.
Per Alessandro Marangoni, direttore scientifico dell’Irex, “la burocrazia e i sistemi di governance locali restano i maggiori ostacoli alla transizione ecologica. Nonostante le recenti misure di semplificazione, l’aumento delle operazioni nel 2022 degli investimenti nelle energie rinnovabili (valore triplicato) ha peggiorato il divario tra impianti autorizzati e quelli in attesa di autorizzazione. Il rapporto tra progetti in via di autorizzazione e totale richiesto è del 77%, per solare 79%, eolico onshore 83% (fonte Irex Annual Report 2023). In altre parole, solo un quarto circa è stato autorizzato. Sebbene nel 2022 siano sensibilmente cresciute le installazioni (circa 3 GW contro poco più di uno degli anni precedenti), a questi ritmi non si centreranno gli obiettivi al 2030. E’ necessario completare il quadro normativo-regolatorio che potrebbe spingere gli investimenti per la decarbonizzazione”.
Ce la farà l’Italia a far la sua parte? “Con il Decreto di recepimento della Direttiva Red II, Decreto Legislativo n. 199 dell’8 novembre 2021, l’Italia si è data l’obiettivo minimo vincolante del 30% come quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e 2050”, spiega Paolo Peroni di Roedl&Partner. La strada, quindi, è tracciata. Anche se, a giudicare dai numeri, è ancora in salita. “Per raggiungere il traguardo di circa 130 GW – continua Peroni – di impianti da fonti rinnovabili installati entro il 2030 (e una quota della generazione elettrica prodotta da fonti rinnovabili compresa tra il 72 e l’84%), dovrebbero essere installati, da qui al 2030, circa 10 GW di nuovi impianti ogni anno”.
Ma sarà estremamente difficile soddisfare il fabbisogno energetico dell’Europa solo attraverso il fotovoltaico e l’energia eolica. “L’importazione di energia continuerà quindi a essere necessaria a lungo termine – puntualizza Marcello Donini Csr di E.On – nonostante le incognite conseguenti alla guerra in Ucraina. Sole e vento potrebbero essere usati per produrre idrogeno relativamente a buon mercato nei paesi del Medio Oriente e Nord Africa nei prossimi decenni. Dovrebbero essere installati sistemi pilota che utilizzino l’idrogeno come elemento di base nella catena dall’energia elettrica e l’idrogeno potrà anche essere utilizzato in modi diversi, come ad esempio nell’industria siderurgica e come materia prima in chimica”.
Sarà proprio la sfida del clima il punto da cui partire. “Serve – spiega Danilo Bonato, direttore generale di Erion – l’impegno di tutti per affrontare con determinazione la grande crisi climatica, fonte di distruzione e di costi sociali senza precedenti. L’Europa si è data l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050. Per comprendere la portata della sfida, basti pensare che nei 30 anni passati in Italia abbiamo ridotto le emissioni di 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e nei prossimi 10, per essere in linea con il nuovo target europeo, dovremmo ridurle di circa 200 milioni. Oggi però siamo molto distanti dall’obiettivo ‘zero emissioni’ al 2050. Ecco perché occorre agire ora. E agire bene”. Sarà inoltre necessario introdurre misure di adattamento al cambiamento climatico e una carbon tax con misure compensative, eliminare gradualmente i sussidi alle fonti fossili entro il 2030, ridurre le emissioni di gas serra del 60% al 2030 e puntare alle infrastrutture verdi come stock di carbonio.
Elena Jachia, direttrice Area Ambiente della Fondazione Cariplo, parte dalla guerra in Ucraina: “Un disastro non solo di carattere umanitario e ambientale per i suoi abitanti ma anche in termini di approvvigionamento di materie prime e cibo per molti altri paesi che rischia di ridurre l’attenzione nei confronti della crisi climatica e dell’impellenza di una transizione. È necessario invece mostrare con chiarezza l’urgenza di una maggiore indipendenza dalle fonti fossili, di una decisa sterzata verso le fonti rinnovabili e di una maggiore efficienza energetica degli usi finali”.
Chi sono i vincenti della transizione si vede benissimo. Cioè “chi ha da offrire tecnologie e sistemi di soluzioni a zero emissioni – dice Valentino Piana dell’University of Applied Sciences Western Switzerland Valais e direttore Economics Web Institute – In linea generale, si tratta di chi sostituisce ‘beni di consumo’ (usa e getta) con servizi derivanti da beni durevoli, alimentati da fonti rinnovabili. Le mezze soluzioni, le soluzioni ponte, non funzionano”. “Il percorso delle imprese e della manifattura verso la sostenibilità, passa attraverso una combinazione di scelte strategiche che toccano, oggi più che mai, la tecnologia digitale – osserva Fabio Golinelli, manager di Abb – e un approccio olistico e circolare che coinvolga l’intera catena del valore. Partendo dai fornitori per arrivare ai clienti e all’eco-sistema più ampio per creare un impatto condiviso che tocchi le emissioni di scopo 1, 2 e 3 (ossia sia quelle dirette che quelle indirette). L’efficienza energetica, l’adozione di tecnologie digitali, l’integrazione delle fonti rinnovabili attraverso le smart grid e i nuovi modelli prosumer, si affiancano a nuove opportunità rappresentate dall’economia circolare che, anche in ambito industriale, orienta la ricerca verso prodotti e soluzioni realizzati con materie prime sostenibili, con un occhio all’efficienza delle risorse e dei processi durante la produzione e l’uso, così come alla gestione dell’intero ciclo di vita”.
Ma la svolta verde parte dalle case e dalle comunità di cittadini. “Se oggi si usano ancora sistemi di riscaldamento con caldaie a gas – precisa Riccardo Bani, presidente di Teon – o gasolio è soprattutto perché l’Italia ha da una parte un edificato vecchio, dall’altra il settore non brilla in innovazione: 1 edificio su 2 ha più di 50 anni e 9 edifici su 10 hanno i radiatori, costruiti e dimensionati per funzionare a temperature elevate e che non sono alla portata delle pompe di calore tradizionali. Il fatto che gli edifici italiani, tranne il nuovo, non siano ecosostenibili è dimostrato dall’evidenza che nelle aree urbane contribuiscono in media per il 65% all’emissione di CO2 in atmosfera, quasi tre volte i quantitativi emessi dai trasporti. E negli ultimi 15 anni questo contributo è aumentato costantemente”.
“Noi – spiega Massimiliano Braghin, ceo e fondatore di Infinityhub – abbiamo creato la prima Energy Social Company, il primo portale per la conversione energetica sostenibile made in Italy, sostenuta da una galassia di uomini e donne che hanno deciso di ‘sperare’ nel futuro, sapendo che agire per il benessere del creato e delle creature ha sempre un senso, oltre 2000 investitori e finanziatori ad oggi. L’intento originale era quello di far partecipare l’intera collettività, o comunque una buona parte di essa, ai benefici, anche economici, di progetti sostenibili, che troppo spesso avevo vissuto vedendoli decollare con sole ed esclusive logiche business to business, con metodi prettamente finanziari e, troppo spesso, non industriali”.