(Adnkronos) – Il crollo avvenuto ieri sulla Marmolada è dovuto alla “concausa di tre fattori: termico, nivo-glaciologico e nivometrico stagionale”. Quindi: “Temperature particolarmente elevate nell’ultimo mese e mezzo, scarsa nevosità invernale e di conseguenza più rapido riscaldamento del ghiaccio che ha fuso e ceduto in maniera molto rapida”. Così Massimiliano Fazzini, esperto nivologo e climatologo responsabile del Gruppo nazionale di studio sui cambiamenti climatici di Sigea, spiega all’Adnkronos le cause meteo-climatiche alla base della tragedia della Marmolada.
“I fattori alla base di questa tragedia dal punto di vista meteo-climatico sono vari: a cominciare dalla scarsa nevosità che ha caratterizzato l’inverno appena trascorso, è nevicato un po’ meno della metà rispetto alle medie, ma, soprattutto, il manto nevoso a causa del repentino aumento delle temperature, già in maggio, ha subito una velocissima riduzione tanto che siamo arrivati dieci giorni fa senza neve stagionale al suolo anche alle quote più elevate”, spiega.
Quindi: “L’unione di temperature eccezionalmente elevate, si pensi che la stazione meteorologica in cima alla Marmolada non ha registrato temperature negative nemmeno di notte da almeno dieci giorni, il fatto che quando il ghiaccio storico non è protetto dalla neve stagionale assorbe molto più rapidamente il calore che arriva dalla radiazione solare (ha un albedo inferiore), per cui si è scaldato molto più rapidamente e la grande quantità di acqua prodotta dalla fusione della poca neve stagionale in cresta e del ghiaccio alle varie profondità del ghiacciaio stesso hanno concausato questa enorme tragedia”.
Un evento “assolutamente non prevedibile”, secondo Fazzini. Perché “fino ad una decina di anni fa non abbiamo mai osservato cadute, crolli improvvisi di pezzi di ghiacciaio o seraccate. Perché non c’erano mai condizioni di temperature così elevate per un lungo periodo di tempo. Possiamo imparare a prevedere, se abbiamo esperienza in questo caso non ne abbiamo”.
Alla luce di questi eventi, “io credo, da climatologo, che bisogna istallare più stazioni nivo-meteorologiche in alta quota e comprendere cosa succede nelle sommità delle nostre Alpi” perché “l’ambiente fisico di alta montagna è un indicatore enorme del cambiamento climatico in atto” e perché “tutti questi ghiacciai che si vanno ritirando rappresentano una minore quantità di acqua stoccata che può servire in estate”.
Si può parlare, dunque, di effetti dei cambiamenti climatici? “Un evento eccezionale non fa cambiamento climatico ma quando cominciamo a vedere che sono sempre di più in alta montagna i giorni senza rigelo notturno estivo, quando le precipitazioni stanno diventando sempre più irregolari soprattutto al punto nivometrico, quando soprattutto negli ultimi 30 anni la temperatura è aumentata di due gradi a quelle quote, è normale che venga automatico un collegamento diretto tra riscaldamento climatico in atto e questi fenomeni di estremizzazione climatica”.