Ci sono le nuove professioni, quelle su cui puntano in tanti in una metropoli come Milano, perché “quello è il futuro” ed è lì che si troverà un impiego. Ma ci sono anche i lavori tradizionali, che oggi, complice la ripresa economica in corso, offrirebbero tanti posti di lavoro.
Eppure sono i lavoratori che non si trovano e così, per quelli che restano, si registrano livelli di occupazione piena. Due esempi su tutti: impiegati amministrativi e magazzinieri. Oggi a Milano, come in altre parti d’Italia, è difficile trovare un giovane interessato a occuparsi di paghe e fatture, perché negli anni è andato diminuendo il numero di iscritti all’istituto di ragioneria e chi lo frequenta, dopo il diploma, spesso punta alla laurea in discipline economiche. Di conseguenza, una volta lasciata l’università, si cercano posti di lavoro che si considerano più adatti al proprio percorso formativo. Risultato? Per chi aspira a un posto da contabile c’è l’imbarazzo della scelta: molta domanda da parte delle aziende, poca offerta da parte dei lavoratori, livello di occupazione piena.
Un altro esempio? I magazzinieri, anche quelli vanno a ruba. Chi vuole ricoprire una mansione di questo tipo trova lavoro in un baleno, ma l’offerta di lavoro non è sufficiente e tante aziende restano scoperte.
Altro giro, altra corsa. Nei settori della ricettività e della ristorazione si cercano, ma non si trovano, camerieri e personale di sala, commessi, cuochi, receptionist e addetti all’accoglienza e alle pulizie, come conferma l’indagine “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono”, realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono
“Quello dei ristoranti e degli alberghi è il settore che più balza all’occhio, anche perché con l’arrivo della stagione estiva la ricerca di lavoratori aumenta, ma c’è un problema in realtà molto più esteso, che attraversa in modo trasversale il mondo del lavoro, toccando sia i livelli alti che quelli bassi della piramide professionale”, sottolinea Ester Dini, responsabile dell’Ufficio Studi della Fondazione Studi Consulenti del lavoro. Mancano medici, biologi, farmacisti e varie figure sanitarie, così come operai metalmeccanici, elettronici e altri profili specializzati, difficilmente sostituibili. Anche l’edilizia, settore in grande fermento, fa fatica a trovare manovalanza.
Secondo l’indagine della Fondazione, il calo dell’offerta di lavoro tra il 2018 e il 2021 è stato di ben 838mila persone attive, di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Le motivazioni? Da un lato lo sfavorevole quadro demografico (636mila residenti in meno tra 2018 e 2021, di cui 262mila giovani), dall’altro la crescita degli inattivi, ovvero le persone che non cercano lavoro, (+194mila nello stesso periodo), un fenomeno che interessa anche le componenti della popolazione tradizionalmente più dinamiche, come gli immigrati (14,4% di inattivi in più).
E la situazione in futuro potrebbe aggravarsi: entro quattro anni la difficoltà delle aziende nel rintracciare i profili necessari per la propria attività potrebbe diventare critica. A fronte di un fabbisogno di circa 4,3 milioni di lavoratori, 1 milione e 350mila ricerche di personale potrebbero restare disattese per assenza di candidati.
Lavoratori mancanti: perché?
Tutta colpa del reddito di cittadinanza, come qualcuno sostiene? Più probabile che sia un insieme di fattori. “Oltre al calo demografico oggettivo, sicuramente l’aumento degli inattivi è collegabile anche alla diffusione di tanti sostegni: oggi ci sono un milione e mezzo di persone in più che percepiscono il reddito di cittadinanza rispetto al pre-pandemia”, sottolinea Dini. “Ma va considerato anche un dato ormai cronico: il disallineamento tra i percorsi di formazione ed i profili aziendali ricercati, soprattutto per quanto riguarda alcune figure altamente specializzate, che vengono formate negli istituti tecnici e professionali. Fino agli Anni Settanta questo tipo di formazione era molto ambita, poi è iniziata un’ondata di licealizzazione di massa, di cui vediamo oggi i risultati”. Attualmente le aziende cercano 700mila diplomati, ma ce ne sono solo 600mila disponibili. Un gap che si acuisce in alcuni settori, come quello ragionieristico: mancano 50mila lavoratori l’anno.
“E’ sbagliato pensare che la formazione tecnica e professionale sia di serie B, perché le aziende richiedono un livello di specializzazione altissimo e questi impieghi sono molto appetibili, oltre che estremamente remunerativi”.
Tra i fattori che contribuiscono alla mancanza di lavoratori, poi, va considerato anche l’effetto pandemia, che ha dato vita a una nuova stagione di dinamismo da parte degli italiani, ancor più in una grande città come Milano: “Quasi 2 milioni di persone in questi anni hanno dato le dimissioni volontarie, sia perché l’emergenza Covid-19 ha spinto molti a cercare un diverso equilibrio tra vita privata e lavoro, sia perché l’attuale fase economica di ripresa, piuttosto vivace, porta dinamismo anche tra i lavoratori, che vogliono cogliere nuove opportunità”.
Infine, in alcuni Paesi esteri come la Francia e la Gran Bretagna il sistema dei servizi al lavoro fa incrociare facilmente la domanda e l’offerta, cosa che invece in Italia non avviene. “Una difficoltà che amplifica il problema della carenza di personale, allungando e rendendo più difficile la ricerca della ‘persona giusta’ da parte delle aziende”.
Quali sono i lavoratori mancanti a Milano?
“Oggi in tutta Italia il talent shortage è più elevato che mai. Secondo l’osservatorio di ManpowerGroup, le aziende che hanno difficoltà a trovare i profili che cercano sono il 72%, un dato quasi raddoppiato in tre anni”, concorda Giuliano Vazzoler, Regional Manager Manpower per la Lombardia Occidentale. “In particolare a Milano la maggiore carenza di talenti si riscontra in diversi ambiti, trasversali ai settori: engineering o industria 4.0, business professionals o office, information technology, oltre ad alcuni settori che stanno risentendo dei grandi cambiamenti del mondo del lavoro di quest’ultimo periodo, come horeca“.
I profili sempre più richiesti e difficili da trovare nella Lombardia Occidentale, sono nell’area finance, administration, HR & legal: “Nell’area milanese in particolare dobbiamo citare certamente i contabili e gli HR, per payroll e amministrazione del personale. Secondo lo studio predittivo che abbiamo condotto insieme a EY, i profili HR cresceranno nella domanda ancora del 3% nei prossimi anni“.
Engineering-industria 4.0 è l’altro ambito dove è complesso reperire i profili specializzati, un tema cruciale perché qui si concentrano maggiormente le risorse del PNRR: “A Milano i profili più richiesti sono gli ingegneri civili, i geometri e i manutentori elettrici/elettricisti. Secondo le previsioni, i tecnici specializzati cresceranno del 2,4% nei prossimi anni“.
Nell’area information technology la domanda è sempre crescente, in particolare nelle key technologies come data science and analytics, Java, .Net, Cloud, Cyber Security, Robotics, Deep Learning. Secondo uno studio di Experis, brand di ManpowerGroup e provider IT di soluzioni applicative, consulenza, resourcing e formazione, “la provincia di Milano in Italia si distingue per la sua offerta caratterizzata da maggiori opportunità in tutti gli ambiti IT e in particolare sui profili in ambito sistemi, ERP e cloud; spesso inoltre le richieste sono legate a progetti di trasformazione digitale e rinnovamento delle infrastrutture IT interne alle aziende“.
Infine, un settore dove la difficoltà è aumentata in modo esponenziale nell’ultimo periodo, l’horeca. “Il gap tra domanda e offerta rimane alto: secondo l’Osservatorio Excelsior di Unioncamere la difficoltà di reperimento è del 38,7%, vale a dire circa due offerte di lavoro su cinque vanno a vuoto. Le figure più ricercate a Milano sono camerieri/e, chef, chef de rang, cuochi, addetti alla ristorazione commerciale e personale per gli hotel“.