È quello che gli ambientalisti temevano, ciò che avevano anticipato ai governi e agli enti internazionali, e alla fine sta succedendo davvero: i piani per incentivare la rimozione dell’anidride carbonica (CO₂) dall’atmosfera stanno alimentando un business poco trasparente e rischiano di perdere la funzione benefica per la quale sono stati pensati. Una vera e propria corsa all’oro, insomma, un affare su cui puntare per potersi permettere di continuare a crescere, inquinando. I fatti: secondo il Principles for Responsible Investment (pdf), un team di investitori e consulenti che fa capo all’Oms, sarebbero 42 le aziende ad aver annunciato di voler raggiungere l’obiettivo net-zero tra il 2019 e il 2020. La loro missione è insomma quella di azzerare le emissioni “nette” puntando su tecnologie per la rimozione di anidride carbonica. Insomma, io continuo a inquinare ma in parallelo faccio qualcosa di buono per il pianeta: questo è il patto.
Quando si parla di “tecnologie” per la transizione net-zero bisogna però fare attenzione, perché non si parla di macchinari misteriosi e dispositivi miracolosi, ma perlopiù di alberi. Alberi, sì, da piantare, favorendo, nel medio-lungo periodo, il loro ciclo naturale di rimozione della CO₂. È attorno a questi vegetali, quindi, che si sta scatenando un business che di green sembra avere poco. Secondo il citato report del PRI, infatti, “le tecnologie per le emissioni negative (NET) sono la prossima frontiera degli investimenti e offrono opportunità per gli investitori da un trilione di dollari. Tra le NET, le soluzioni basate sulla natura (NBS) e le foreste potrebbero generare 800 miliardi di dollari di profitto annuale entro il 2050, (…), superando l’odierna capitalizzazione di mercato delle major del petrolio e del gas”. Gli alberi, però, hanno un problema: hanno bisogno di tempo e di spazio. E lo spazio disponibile per piantarli non è infinito. Secondo un report di Greenpeace citato da Bloomberg, l’IPCC (Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico dell’Onu) stima che entro il 2050 sarà possibile rimuovere tra i 500 e i 3600 milioni di metri cubi di CO₂ all’anno piantando nuove foreste.
Due sole aziende (la britannica International Airlines Group e l’italiana Eni) promettono però che entro quell’anno saranno capaci di rimuovere 30 milioni di metri cubi, ovvero “il 12% della proiezione dell’IPCC”.
Lo stesso studio stima che la superficie totale rimanente per le foreste del futuro sia di 500 milioni di ettari: la sola Shell ne avrà bisogno di un decimo per raggiungere il net-zero.
Ci sarà quindi una corsa all’albero, anzi, al suolo su cui piantarlo, che non dovrebbe però distrarci dal vero focus di questa battaglia per il futuro: non è il numero di alberi che vengono promessi a fare la differenza; è quello che ciascuna azienda fa ogni giorno, al di là delle promesse verdi.