Sei a Milano e vuoi comprare un Bitcoin usando i contanti? Ci sono cinque diverse proposte in città, secondo il sito Coin Atm Radar. Senza contare le decine in tutta la Lombardia, e stiamo parlando solo di una regione. Li chiamano “bancomat” di criptovalute, anche se funzionano più come casse automatiche. Secondo un’inchiesta pubblicata da Wired Italia, sarebbero molto utili per il riciclaggio di denaro sporco.
I legami tra mafia e Bitcoin
Non è una novità: il legame tra criptovalute e criminalità organizzata è noto da tempo. Lo scorso giugno il comandante dei Ros aveva spiegato come la lotta alla mafia passi ormai per “cloud e criptovalute”. Un traffico di denaro sporco immateriale e globale, che sfrutta i vuoti normativi che persistono, specie in Italia.
Nel nostro Paese, infatti, già nel 2019 è stato approvato un decreto legislativo che impone (o imporrebbe) ai bancomat da criptovalute di iscriversi a un registro apposito. Questa “sezione speciale del registro dei cambiavalute” esiste però solo a parole, visto che non è mai stato approvato il decreto attuativo.
Il Far West delle criptovalute
È il Far West, insomma, e anno dopo anno le cose peggiorano. Basti pensare che nel 2018 l’Unità di informazione finanziaria (Uif), l’autorità antiriciclaggio indipendente della Banca d’Italia, aveva ricevuto circa 500 segnalazioni per operazioni sospette. Ovvero scambi, acquisti di criptovalute da tenere d’occhio perché potenzialmente illeciti. Nel giro di due anni i casi sono triplicati a 1800.
Ma dal 2018 le cose nel settore crypto sono cambiate completamente. Nel luglio di quell’anno un Bitcoin valeva meno di duecento dollari, per dire. Nel momento in cui scriviamo è di poco sotto i 30 mila, dopo le vette dello scorso marzo, quando sfiorò i 60 mila dollari. Che la mafia, specie ‘ndrangheta e camorra, abbia partecipato alla speculazione è cosa nota, sia ai media che alle forze dell’ordine. Tra i più interessati al settore, i “clan di Napoli e alcuni della zona di Caserta, area sotto il dominio del famigerato clan dei Casalesi”.
La nuova mafia è tutta digitale
Non è tutto, perché secondo l’Uif alcuni di questi casi sospetti facevano riferimento ad alcune persone che ricoprivano un doppio ruolo. Un po’ uomini di camorra, un po’ truffatori specializzati in e-commerce. Insomma, tra cloud, vendite online e crypto, ecco la conferma di come le mafie abbiano scoperto come monetizzare la nuova frontiera digitale. Dove non esistono confini e i vuoti normativi permettono di agire con relativa sicurezza.
Dicevamo di quanto le cose siano cambiate da allora, da quando la mafia muoveva i primi passi. Ebbene, nel 2019, le mafie erano costrette ad avvalersi di “broker” e tramiti specializzati per scambiare Bitcoin. Adesso basta che vadano al bancomat, insieme a tanti altri ingenui e onesti cripto-entusiasti, ignari di chi si nasconde tra di loro.
(Foto: Envato)