Nuovo presidente americano, solite ossessioni. Se l’Amministrazione Trump aveva basato parte della sua politica estera nella battaglia – anche industriale – contro la Cina, ecco che Joe Biden sembra ambire alla stessa cosa, sia pur con toni più moderati e strategici. Dopo i rumors della scorsa settimana, il presidente ha infatti firmato un ordine esecutivo presidenziale con cui mira a incrementare la produzione di chip e materiali negli USA, investendo 37 miliardi di dollari nel settore e avviando un’indagine che durerà cento giorni per scovare “vulnerabilità” nella filiera statunitense.
Cosa cambia rispetto ai tempi di Trump? Molto. Secondo alcuni analisti, la voce grossa dell’ex presidente avrebbe spinto la Cina ad accentrare ancora di più la produzione di alcuni elementi, tra cui i chip, di cui oggi si lamenta una penuria. Trump aveva anche agito contro Huawei, proibendo alle società americane di farci affari perché accusata di offrire un accesso segreto al governo cinese, rendendo di fatto qualsiasi dispositivo prodotto Huawei un pericolo in fatto di cybersicurezza. Ad oggi non è ancora chiaro se i divieti nei confronti della società rimarranno in vigore con Biden: ne sapremo di più alla fine dei cento giorni fissati dalla nuova legge, che è destinata a cambiare gli equilibri industriali e tecnologici in tutto il mondo.
Un mondo tecnologico senza Made in China è difficile da immaginare ma l’asse Taiwan-Giappone-Corea del Sud sembra già pronto a fornire un’alternativa filo-occidentale al gigante asiatico, con l’aggiunta dell’Australia per quanto riguarda le cosiddette “terre rare”, di cui la Cina ha un ampio controllo in tutto il mondo.
Insomma: si scrive tecnologia ma si legge geopolitica.